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il caso

Cercare lavoratori ben pagati e non trovarli: il caso della Cantina Todini in Umbria

Mariarosaria Marchesano

"C’è un mancato allineamento tra domanda e offerta di lavoro che sta diventando strutturale", ci dice la manager Luisa Todini. Il paradosso degli imprenditori che non trovano lavoratori in un paese in cui la disoccupazione è poco al di sotto dell'8 per cento

Non avrei mai pensato che trovare quattro-cinque persone disposte a lavorare nella nostra azienda agricola in Umbria sarebbe stato più difficile di quotare Poste italiane in borsa….”. Con una battuta, Luisa Todini, imprenditrice, ex eurodeputata e manager, racconta al Foglio la sua recente esperienza di ricerca di lavoratori per la Cantina Todini, un complesso che sorge a Rosceto, in provincia di Todi, dove la sua famiglia, con interessi dalle costruzioni alla finanza, ha origine. “Pensavo che avrei avuto la fila e invece, dopo essermi rivolta a tutta la rete di conoscenze che ho sul territorio - amici, sindacati, aziende di somministrazione lavoro, associazioni datoriali - non riesco a trovare nessuno. Ora, sto facendo un ultimo tentativo con il centro regionale per l’impiego, spero che lì mi aiutino”, dice Todini specificando che, ovviamente, si tratta di tutti contratti regolari, full time o part time e di cui uno a tempo indeterminato, e comunque con una prospettiva di stabilità in futuro visto che l’attività sta andando bene, come in altre regioni italiane alla vigilia della stagione estiva che si annuncia da boom per turismo, eventi, hotellery, dopo gli anni di magra del Covid. E le cantine di pregio, i relais, sono super gettonati da stranieri, soprattutto quando sorgono in un ecosistema come quello di Todi, in cui, oltre a lavorare, si può godere della natura e di una buona qualità di vita.

Dunque, non si tratta di reclutare braccianti e stagionali per lavorare la terra, tiene a specificare Todini, ma di assumere giovani laureati al primo impiego che siano un po’ preparati all’accoglienza, che abbiano una formazione anche basilare di marketing e sappiano parlare inglese a livello minimo, con la disponibilità a lavorare in ufficio “come in giro per la struttura per raccontare agli ospiti il nostro vino”. Stipendio medio netto: circa 1300 euro mensili. Detta così, il paradosso di imprenditori che non trovano lavoratori appare ancora più lampante in un’Italia che, nonostante l’occupazione in crescita, ha una percentuale di senza lavoro pari all’8 cento, di cui il 22 per cento rappresentata da giovani. “Davvero non pensavo di incontrare tutte queste difficoltà anche considerando la qualità dell’ambiente di lavoro – prosegue Todini - Qui, ovviamente, non è possibile fare smart working, ma ci si aiuta e c’è solidarietà tra i dipendenti, se un giorno uno ha necessità di prendere i figli a scuola o andare dal medico nessuno gli dice nulla”. Un’economia resiliente, nonostante i venti di recessione (il pil del primo trimestre in crescita dello 0,5 per cento ha fatto meglio di Francia e Germania), con un settore terziario in grande ripresa sta spiazzando gli imprenditori? “Ancora non me lo spiego, ma c’è un mancato allineamento tra domanda e offerta di lavoro che sta diventando strutturale nel nostro paese dove le sacche di povertà non mi risulta che siano in diminuzione. Tra l’altro, come azienda radicata in Umbria vorremmo cercare sul territorio nuova forza lavoro, ma è chiaro che se non troviamo allargheremo la ricerca ad altre regioni anche se, a quanto sembra, far spostare le persone in Italia non è facile”.

Spesso la colpa della difficoltà a reperire lavoratori viene dato al reddito di cittadinanza, che il governo Meloni sta per limitare fortemente e a un uso improprio di ammortizzatori sociali come la Naspi. Pensa che sia così, pur considerando, però, che in Umbria i destinatari del reddito di cittadinanza sono un numero esiguo, vale a dire circa 30 mila, 14 mila nuclei familiari? “Non saprei dire se il reddito di cittadinanza c’entri qualcosa, ma da imprenditrice devo dire che il governo fa una cosa buona se promuove la cultura del lavoro limitando i sussidi pubblici ai casi più bisognosi. Ma è possibile che il fenomeno vada letto anche in un altro senso”. Quale? “Ci siamo troppo abituati a lavorare, non dico meno, ma diversamente durante la pandemia.  L’Italia è sempre più una meta di turismo internazionale, ma forse dovremmo fare una riflessione su come evitare che la carenza di personale si trasformi in boomerang. Nel frattempo, per la mia azienda umbra confido nel centro per l’impiego al quale, lo confesso, è la prima volta che mi rivolgo”.

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