(1937-2023)

Così Robert Lucas ha rivoluzionato la macroeconomia moderna

Carlo Stagnaro

Ossessionato dalla crescita, ecco chi era l'economista premio Nobel che negli anni Settanta, dall'Università di Chicago, ha demolito i presupposti keynesiani allora tanto in voga

Lunedì è scomparso, all’età di 85 anni, Robert Lucas, premio Nobel nel 1995, uno dei più importanti economisti del Ventesimo secolo. Il commento più bello è dell’ex capoeconomista del Fmi, Olivier Blanchard: “Un esempio perfetto di distruzione creatrice: ha reso le nostre vite intellettuali più difficili, ma molto più eccitanti”. Il  nome di Lucas è legato indissolubilmente a un luogo, l’Università di Chicago dove si era laureato e dove tornò nel 1975 dopo aver passato una dozzina di (fruttuosi) anni a Carnegie Mellon. Fu uno dei protagonisti della rivoluzione che, a partire dagli anni Settanta, investì la macroeconomia, demolendo i presupposti keynesiani che fino ad allora si erano imposti come il mainstream e gettando le basi per una nuova fase. L’intelligenza di Lucas si applicò a una pluralità di temi e di domande di ricerca, per cui è pressoché impossibile farne una sintesi.

 

Nella lettera con cui l’attuale direttore del dipartimento di economia di Chicago, Rob Shimer, informava i colleghi della morte di Lucas, venivano ricordati i contributi – tutti fondamentali, tutti geniali – con cui egli ha fertilizzato tanti filoni di ricerca: dai mercati del lavoro all’inflazione, dalla teoria degli investimenti alla teoria dell’impresa, dal commercio internazionale alla teoria della crescita, fino alla teoria del ciclo economico in cui riprende da dove si era fermato Friedrich Hayek. In questo incessante lavoro di ricerca e scoperta, Lucas non è stato né un autore geloso delle sue intuizioni né il capo di una setta: lo certificano i tanti co-autori con cui ha firmato gli articoli più importanti (tra cui la compagna Nancy Stokey e gli amici Ed Prescott e Thomas Sargent, entrambi premi Nobel).

 

Se c’è un tema verso il quale convergono tutte le sue analisi, è quello della crescita. Figlio di genitori di umili origini che avevano realizzato il sogno americano – il padre divenne presidente di un’impresa nella quale era entrato come saldatore – Lucas fu ossessionato dalla crescita. “Le conseguenze sul benessere umano di queste domande – scrisse – sono sconcertanti: non appena uno comincia a rifletterci, è difficile pensare a qualunque altra cosa”. 

 

L’altra grande questione che attraversa la sua vita professionale è quella delle “aspettative razionali”: l’intuizione per cui gli individui agiscono non solo sulla base di come stanno le cose, ma anche di come si aspettano che staranno nel futuro. Di conseguenza, i modelli degli economisti devono incorporare questo fatto: se non ne tengono conto, finiscono per perdere significato. Tale osservazione – nota come “Lucas critique”, dal titolo del suo paper del 1976 – ebbe conseguenze enormi non solo sull’evoluzione della macroeconomia, ma anche sul ruolo dello stato nella società e il modo in cui i governi possono esercitarlo. Detto in termini più concreti: quando un governo (o una banca centrale) fissa un obiettivo, la sua capacità di raggiungerlo dipende in misura molto rilevante da quanto è bravo a convincere la gente che l’obiettivo sarà raggiunto. Prendiamo il caso dell’inflazione: negli anni Settanta gli economisti erano stati presi in contropiede dalla stagflazione. Nel paradigma keynesiano essa non poteva verificarsi. Tanto meno era pensabile che si potesse aggredire l’inflazione senza peggiorare ulteriormente la disoccupazione. Lucas mostrò invece che, se la banca centrale prende di petto l’inflazione e agisce coerentemente, l’effetto negativo sull’occupazione può essere modesto, perché gli individui adegueranno il proprio comportamento alle nuove aspettative. La parola chiave, quindi, è credibilità. 
Le picconate di Lucas sono state determinanti per rifondare il metodo con cui gli economisti affrontano i problemi macro: Lucas è la macroeconomia moderna e la macroeconomia moderna è Lucas. Mai come oggi la sua lezione andrebbe riscoperta. Governi e banche centrali stanno ripetendo gli stessi errori di cinquant’anni fa, quando i politici pensavano che bastasse desiderare qualcosa per vederla accadere. Lucas mostrò che le opinioni degli altri sono un vincolo ineliminabile e che la credibilità è l’unica moneta che nessuno può stampare a piacimento.

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