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Chip, proteine vegetali, cattura della CO2. Da dove passa la crescita del futuro? Uno studio

Stefano Cingolani

"Circa il 20% del valore globale si sposterà nei prossimi decenni. Però non è il reshoring la forza trainante, bensì le catene del valore, globali, flessibili, sostenibili, efficienti", spiega Josef Nierling di Porsche Consulting

L’industria italiana vuole cambiare, ma solo in parte ci riesce. Il dibattito economico e politico si è concentrato sull’ambiente politico, sociale, culturale, ma ci sono fattori altrettanto importanti di origine interna. E’ il risultato di una indagine condotta su un’ampia platea di imprese grandi e piccole dalla Porsche Consulting società tedesca di consulenza consociata con l’azienda automobilistica di Stoccarda. Lo studio verrà pubblicato fra un paio di settimane, ma le conclusioni sono state anticipate ieri e riservano numerose sorprese. Il 79% delle aziende dichiara di essere in fase di trasformazione, ma solo il 53% ce la fa; per lo più sono quelle di maggiori dimensioni. Il successo è frutto di obiettivi chiari e di un capo azienda alla guida. Tra gli elementi critici c’è proprio la mancanza di leader competenti mentre emerge in modo diffuso, si può dire trasversale, la resistenza al cambiamento molto forte anche nelle maggiori imprese. Quelle minori guardano soprattutto al miglioramento del prodotto e del processo produttivo, però sono restie a compiere un salto strategico; per le grandi si tratta di affrontare la transizione digitale e la sostenibilità.

 

I buoni risultati della economia italiana che hanno riempito di meraviglia anche i tedeschi, come ha riconosciuto Josef Nierling amministratore delegato della Porsche consulting in Italia, mostrano la resilienza del sistema produttivo, ma adattamento non vuol dire cambiamento. “Circa il 20% del valore globale si sposterà nei prossimi decenni – ha spiegato Nierling – Però non è il reshoring la forza trainante, bensì le catene del valore, globali, flessibili, sostenibili, efficienti”. Un esempio viene dai semiconduttori. Per sottrarsi alla dipendenza dall’Asia e da quella minacciosa di Pechino, è cominciata una gara ad aprire nuove fabbriche di chip in America dove Intel guida la corsa e in Europa dove la italo-francese STM compete con il colosso statunitense. La Cina spenderà 143 miliardi di dollari, gli Stati Uniti 52 miliardi, l’Europa 51 miliardi. Intanto, l’80% dei prodotti è ancora concentrato a Taiwan. Nessuno, però, può farsi tutto da solo basta smontare una cpu per capirlo. “Piccole realtà italiane come Osai, Zapi, Technoprobe, Prima Electro. Advanced Technologies stanno avanzando in modo esponenziale – sottolinea Giovanni Notarnicola partner della società di consulenza – Per cogliere l’opportunità di un mercato che raddoppierà di qui al 2030 superando i 1.450 miliardi di dollari, è necessario investire in competenze adeguate: serviranno nel manifatturiero più di 33.700 tecnici e ingegneri”.

 

Il tanto accapigliarsi sulla distruzione di posti di lavoro copre con una coltre ideologica la cruda realtà: la carenza di capitale umano; mancano lavoratori e mancano figure professionali in grado di cogliere quest’attimo prezioso quanto fuggente, perché davvero il tempo stringe. Non si tratta tanto di agitare il solito spettro del declino, ma di mettere in guardia dal rischio di restare emarginati. L’Italia, paese a industrializzazione tardiva, ha il riflesso condizionato del late comer: gli altri rompono il ghiaccio del futuro e noi li seguiamo, magari superandoli di tanto in tanto. Ci sono naturalmente innovatori, c’è anche un capitalismo che ama il rischio, ma anch’esso tende, una volta raggiunto il successo, a sfruttare la scia. Oggi più che mai, invece, guai a tirare i remi in barca. 

 

Quali sono, a parte i semiconduttori, le occasioni da cogliere? La filiera agro-alimentare è attraversata da una vera rivoluzione: il trend del futuro, anzi già del presente,  è quello delle proteine vegetali. Sentiamo già gli strepiti della Coldiretti contro il latte d’avena o la carne sintetica, intanto i concorrenti del made in Italy balzano avanti: la tedesca Rügenwalder Mühle grande produttrice di salsicce ormai fa würstel vegani, ci sono l’olandese Vivera, Alpro di Danone o la piccola Giacovazzi della California che sfidano Valsoia e Granarolo. Atri settori nei quali l’Italia può avere un ruolo significativo sono la cattura della CO2 con la De Nora, l’idrogeno verde, lo spazio (la logistica in orbita, uno scenario tra realtà e fantascienza dipinto da Luca Rossettini ceo di D-Orbit). Ma la sfida più grande resta l’auto elettrica che scuote l’intera componentistica. Qui la resistenza al cambiamento è ancor più forte, anche se ci sono segnali importanti e la motor valley emiliana si prepara a diventare una electric valley. Non si vedono alternative, sottolinea Nierling: i grandi mercati dall’Asia all’America domandano soprattutto e-car, difendere il motore a scoppio è una battaglia di retroguardia destinata alla sconfitta.

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