la proposta
Per una vera riforma fiscale serve coraggio sulle tax expenditures
L’eliminazione di una parte più o meno ampia delle spese fiscali potrebbe fornire la copertura di una parte della riforma; e soprattutto promuovere un notevole ampliamento della base imponibile, rendendo possibile una riduzione delle aliquote nominali Irpef
Il sistema tributario italiano dopo 50 anni dall’ultima grande riforma richiede un intervento di manutenzione straordinaria. Le modalità di prelievo attuali sono invecchiate e in parte obsolete. L’evoluzione dell’economia italiana, soprattutto in seguito alla diffusione dell’economia digitale e alla globalizzazione – con la riduzione del peso del lavoro dipendente, rispetto alle forme di lavoro autonomo e l’emergere dei giganti digitali – ha fatto sì che larga parte delle imposte esistenti non sia più in linea con le sottostanti basi imponibili. L’elevata mobilità dei capitali rende complesso tassare alcune basi imponibili e porta gli stati nazionali ad agire solo su alcune di esse. Le misure di riforma per alcune imposte possono essere pensate per lo più solo a livello internazionale, come ha evidenziato il percorso Ocse per una minimum tax sulle imprese multinazionali. Il potere degli stati nazionali nelle scelte di tassazione si è molto ridotto ed esiste ancora solo su alcune basi imponibili – lavoro e patrimonio.
Innanzitutto, è necessario un riequilibrio del peso fiscale tra le diverse basi imponibili, con una riduzione dell’imposizione Irpef. E’ necessario, perciò, uno spostamento di una parte del carico tributario, dal lavoro e dall’impresa alle altre basi imponibili (ad esempio i consumi). In questi trent’anni, l’Irpef è stato stravolta da un “su e giù” dei diversi governi che hanno sopravvalutato le potenzialità sul piano dell’equità. I suoi meriti in termini di progressività si sono notevolmente indeboliti ed è ormai chiaro che serve un ripensamento di fondo.
Le distorsioni dell’Irpef sono chiare. La progressività nominale agisce quasi solo sui redditi da lavoro dipendente e da pensione. L’imposta porta con sé altre forme di progressività, occulte ma non per questo meno importanti: alla progressività normale, legata alle aliquote nominali, se ne sono aggiunte almeno altre due, legate alle detrazioni fiscali e alla spesa sociale. Alla progressività delle aliquote e degli scaglioni si aggiungono, all’aumentare del reddito, la perdita di larga parte delle detrazioni e di alcune forme di spesa sociale che rendono l’effetto distributivo dell’imposta incoerente. Si determina così un evidente squilibrio tra chi paga (progressività dell’imposta) e chi riceve (progressività della spesa). Il reddito da lavoro non solo paga l’imposta ma al suo crescere si perdono i vantaggi delle detrazioni e l’accesso alle forme gratuite di spesa sociale. Un ripensamento appare urgente anche sulle addizionali regionali e comunali, che colpiscono solo il lavoro dipendente e le pensioni e che producono effetti negativi sull’equità e il finanziamento della sanità.
Al punto in cui siamo, mantenere un’imposta che conserva un’accentuata progressività solo sui redditi da lavoro dipendente e da pensione, cioè su chi ha limitate possibilità di occultamento della base imponibile, ha poco senso. Per molte ragioni, il potere redistributivo delle imposte si è purtroppo molto attenuato nel corso del tempo. E allora ci vuole coraggio e si devono rivedere il numero e il livello delle aliquote, ovviamente con coperture adeguate e senza effetti sul disavanzo – a partire dalla lotta all’evasione.
Non è più rinviabile, perciò, una revisione sistematica delle tax expenditures e delle forme di vantaggio fiscale che producono un costo elevato e notevoli distorsioni. L’eliminazione di una parte più o meno ampia delle spese fiscali potrebbe fornire la copertura di una parte della riforma; e soprattutto promuovere un notevole ampliamento della base imponibile (base broadening), rendendo possibile una riduzione delle aliquote nominali – quindi meno distorsioni. Il peso delle spese fiscali è cresciuto moltissimo negli ultimi 25 anni e adesso il nostro paese presenta due record: il numero più elevato (740) e il più alto valore in rapporto al pil (circa il 6,5 per cento). Sono stati fatti diversi tentativi in passato per ridurre le spese fiscali, ma tutti senza successo. E ciò è vero per la sinistra e la destra. Quindi la questione cruciale è: come tagliare le spese fiscali? Data la forza dei diversi gruppi di interesse beneficiari delle misure agevolative, sono possibili due approcci: voce per voce oppure con misure orizzontali.
Un approccio voce per voce è in principio quello più efficiente, ma anche quello più difficile. Si potrebbero eliminare le spese più distorsive, di importo più piccolo, quelle più obsolete, dove è chiara la misura di favore per i vari gruppi di interesse. Questo approccio però o è generale – sono riviste più o meno tutte le spese fiscali – oppure diventa complesso da realizzare e rischia di scatenare resistenze forti da parte dei beneficiari. L’altro approccio è quello di non effettuare interventi selettivi ma di introdurre tetti di diverso tipo per tutti i contribuenti, per recuperare parte del gettito. Colpendo tutte le misure agevolative più o meno nella stessa misura (in percentuale o con altri limiti), sarebbero ammorbidite le resistenze delle varie lobby – anche se non verrebbero eliminate le spese fiscali. La sfida è ambiziosa, ci vuole coraggio, ma se spiegata bene i contribuenti potrebbero capire che la perdita di alcune spese fiscali sarebbe compensata da una riduzione delle aliquote, con un sistema più semplice e meno distorsivo. E’ un test decisivo per capire se il nostro paese sia ancora governabile, oppure sia ormai definitivamente controllato dai vari gruppi di interesse.