La cultura del rischio
Cosa ci dicono dell'Italia le poche assicurazioni contro i danni da eventi estremi
Su un campione di oltre 31 milioni di immobili nel paese, solo il 4,9 per cento è coperto contro rischi di alluvioni o terremoti. Famiglie e imprenditori credono che lo stato debba far fronte a queste calamità: ma così l’impreparazione finisce per essere collettiva
Dopo il disastro alluvionale in Romagna, come ogni volta che tali eventi si ripetono, i media hanno riempito pagine per documentare come lo stato sia rimasto indietro rispetto a una Protezione civile gestita con reti tecnologiche come in Giappone, Corea del sud e Taiwan, come la politica col governo Conte abbia smantellato la missione tecnica ad hoc creata nel 2016 presso Palazzo Chigi contro i rischi idrogeologici e sismici, e come si continuino a gestire male risorse stanziate a tal fine (21 miliardi dal 2019 al 2023, sommando fondi nazionali, europei e locali), nell’incapacità di concentrarle in progetti prioritari invece di disperderle in mille rivoli. Si sorvola però su una domanda centrale. Rispetto allo stato e alla politica, gli italiani sono meglio? Domanda sgradevole, visto che ogni volta il bilancio di vittime e danni per miliardi a imprese e lavoro si abbatte proprio sulle popolazioni. Domanda centrale, però. La risposta è ancor più sgradevole delle domande. No, gli italiani non sono meglio della politica, cieca di fronte alle catastrofi.
Lo scorso 12 maggio, Banca d’Italia ha pubblicato un suo occasional paper dedicato all’impatto delle alluvioni sul sistema immobiliare italiano, autori Michele Loberto e Matteo Spuri, economisti presso il Dipartimento economia e statistica di Via Nazionale. Le conclusioni in sintesi indicano come esposto a seri rischi di danno da alluvioni un patrimonio immobiliare di circa mille miliardi di euro, e che la perdita annuale arriva fino a 3 miliardi l’anno. E che per gestire tale rischio serve un set ad hoc di dati su cui commisurare interventi, non basta ragionare sulle aree potenzialmente inondabili ma servono invece dati catastali digitali a livello di singolo edificio. Il che dovrebbe farvi riflettere sulle urla levatesi contro il catasto digitale, visto solo come premessa per stangate fiscali. Più sono granulari e aggiornati i dati, meglio si valutano i rischi, per le famiglie e le attività produttive. Ma come si comportano famiglie e imprese, innanzitutto laddove il rischio si concentra?
Su questo aiutano i numeri dell’Ania, l’associazione delle imprese assicurative. A fine marzo 2022, su oltre 31 milioni di unità immobiliari censite da Istat, solo il 4,9 per cento era assicurato contro rischi catastrofali. Al sud la media della copertura del rischio scende molto, anche in aree a forte concentrazione di eventi sismici o alluvionale: in Abruzzo sotto il 2 per cento, in Calabria e Sicilia tra l’1 per cento e il 2 per cento. Al nord la percentuale sale fino all’8 per cento, ma se guardiamo alla provincia di Ravenna, una delle più colpite pochi giorni fa, un’area tra le più a rischio nella regione Emilia-Romagna e un’area tra le più a rischio idrogeologico in tutta Italia, la copertura assicurativa da catastrofi è inferiore al 4 per cento. L’esenzione dell’imposta fiscale sui premi per le assicurazioni contro gli eventi calamitosi, e della detrazione al 19 per cento di tali premi ai fini Irpef, entrambe in vigore dal 2018, ha fatto un po’ salire le polizze. Ma restiamo a una copertura limitatissima. E privi di uno schema nazionale che veda stato e imprese del settore compartecipare a copertura e agevolazione dei premi dovuti per assicurazioni catastrofali, come invece avviene in Francia, Usa, Giappone e altrove, per estendere il più possibile la copertura. Conclusione: la politica ha colpe stranote, ma famiglie e imprenditori continuano a credere in stragrande maggioranza che ai danni da terremoti e alluvioni debba far fronte lo stato. Doppio errore che si somma, e ci spinge a non risolvere mai il problema.