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l'analisi

Le raccomandazioni dell'Ue incoraggiano Giorgetti a tenere testa a Salvini e a Forza Italia

Oscar Giannino

Riuscirà il Mef a tenere le redini della spesa pubblica, evitando bonus e promesse elettorali che farebbero innalzare il debito?

Le raccomandazioni dell’Unione europea pubblicate ieri relative al Piano di stabilità e al Programma nazionale di Ripresa e resilienza dell’Italia non contengono alcuna seria novità. L’esercizio che la Commissione tenta – ovvero applicare da subito contro l’eccesso di debito il criterio di riduzione della spesa pubblica primaria netta, cioè senza considerare interessi sul debito, sostegni all’occupazione e entrate una tantum, criterio proposto nella bozza di riforma del Patto di stabilità Ue che però non verrà approvata prima di fine anno – conferma quanto avevamo già scritto. Lo scenario di finanza pubblica pluriennale previsto per l’Italia dalla legge di Bilancio approvata a fine 2022 dall’attuale governo non solo rispetta il criterio quantitativo di riduzione della spesa primaria netta indicato da Bruxelles ma si pone obiettivi più ambiziosi, cioè riduzioni di spesa o aumento di entrate a cominciare dal 2024 leggermente superiori a quelli cui saremmo tenuti, ma necessari per raggiungere e mantenere un avanzo primario pari ad almeno il 2 per cento del pil, rendendo credibile la discesa graduale del debito pubblico. Come le raccomandazioni di ieri puntualmente confermano.

 

Espresso tale riconoscimento, tutte le preoccupazioni Ue si concentrano però su quanto invece l’Italia potrebbe decidere diversamente di fare, con la prossima legge di Bilancio. Il continuo moltiplicarsi di nuove poste di spesa, oggi un Ponte sullo Stretto, domani nuovi bonus a tempo cioè minori entrate a favore di questi e quelli, dopodomani una Irpef piatta per tutti dopo averne ulteriormente estesi i regimi cedolari, richiesti da questo o quel ministro per segnare il campo del proprio partito davanti agli elettori, spingono fabbisogno, spesa e debito verso obiettivi che vanno in direzione opposta a quelli indicati. Di qui ovviamente non solo le preoccupazioni Ue sul Pnrr – altri paesi hanno puntualmente rispettato la deadline di aprile per annunciarne modifiche, noi grazie alle divisioni interne del governo rischiamo di prenderci l’intera estate prima di farlo – con un accorato accento alla riforma organica della Pa al di là dei continui decreti-semplificazione. Ma soprattutto i dubbi sulla riforma fiscale: la Commissione, come noi, ritiene che in assenza di precise indicazioni di riduzione e razionalizzazione delle detrazioni Irpef la sua riforma indicata in legge delega sia avviata a sfondare i conti e accrescere iniquità. E senza un preciso criterio su imposte indirette, accise e imposte patrimoniali per riequilibrare le minori entrate da impresa e lavoro, non si capisce come queste possano reggersi. O meglio: per reggersi vanno decisi tagli di spesa corrente equivalenti: ma non sembra proprio siano nell’aria. Per lo sdegno dei nemici della riforma del catasto per renderlo digitale, la Commissione ancora una volta chiede di andare in quella direzione.

 

E ancora: come conciliare i nuovi sgravi – un solo esempio, quelli appena annunciati a imprese delle Tlc, in realtà volti a far recuperare margini a Tim e favorire il passaggio oggi incagliato della sua rete alla mano pubblica – con la volontà di porre termine definitivo a ciò che resta dei sussidi energetici per famiglie e imprese adottati nel 2022? Nessuna sorpresa dunque: indicazioni già ripetute. La vera domanda implicita di Bruxelles è un’altra: reggeranno le redini del Mef e di Giorgetti d’accordo con Meloni, rispetto a Salvini e Forza Italia che chiedono prepensionamenti e bonus? Siamo tutti curiosi. 

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