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I ritardi, i soldi non spesi del Pnrr e le poche idee sui nuovi prestiti richiesti
Negli ultimi due anni l’Italia ha utilizzato appena il 73 per cento delle risorse previste: il 2023 doveva essere l’anno dell’accelerazione per recuperare i ritardi, ma per ora così non è stato. I numeri e le prospettive
Mentre il governo non ha ancora terminato il confronto interno per individuare i progetti da eliminare all’interno del Pnrr, dall’Italia è già arrivata una richiesta di nuovi soldi. Entro fine marzo i paesi europei con l’intenzione di ottenere altri prestiti tra quelli previsti dal Recovery Fund hanno dovuto inviare richiesta a Bruxelles. Una notifica da confermare poi ufficialmente entro fine agosto. La Spagna ha fatto il pieno, con 84 miliardi chiesti (a differenza dell’Italia, nel 2021 aveva preferito farsi carico solo dei sussidi), come anche Polonia (23 miliardi) e Portogallo (11 e mezzo).
Anche l’Italia, un po’ a sorpresa, ha fatto richiesta, senza specificare un importo preciso. L’intenzione è spartirsi la torta degli 80 miliardi per ora avanzati dagli altri stati europei, se le intenzioni comunicate a oggi venissero confermate ad agosto. L’esito non è scontato: l’Italia, assieme a Grecia e Romania, ha già raggiunto la soglia massima di prestiti con i 122 miliardi di euro garantiti nel 2021. Il regolamento europeo prevede che la soglia possa essere superata “in circostanze eccezionali”, da negoziare con la Commissione europea.
Tant’è che il governo di Giorgia Meloni di prestiti ne vorrebbe di più, per risparmiare sui tassi di interesse sempre più cari con le mosse della Bce. Nonostante diverse voci nella maggioranza propongano periodicamente di rinunciare a una parte dei fondi. Ma sono le idee su come spendere questi soldi a mancare. I nuovi prestiti andrebbero a finanziare RepowerEu, il capitolo aggiuntivo dedicato all’energia che andrà presentato entro agosto, su cui tuttavia la Commissione europea non perde giorno per ricordare che prima verrà inviato a Bruxelles, meglio sarà. Un appello per ora ascoltato da pochi paesi.
Ma Roma dovrebbe prestare particolare attenzione ai suggerimenti europei. L’Italia attende da 150 giorni il bonifico di 19 miliardi di euro per la terza rata. Se l’Italia non dovesse presentare prima di giugno la richiesta di modifica del piano, è probabile che dovrà attendere anche per la quarta rata, che da calendario si potrà chiedere il 30 giugno. Già sappiamo infatti che diverse scadenze non sono state raggiunte in tempo – su produzione, utilizzo e distribuzione di idrogeno per esempio – e il nuovo piano dovrà modificare gli obiettivi mancati per non far risultare l’Italia inadempiente e dunque non meritevole dei fondi europei. Va ricordato che per ogni scadenza non rispettata l’Italia potrebbe perdere oltre 350 milioni di euro, rimodulabili in base alla gravità del ritardo e l’importanza del target non raggiunto. Paolo Gentiloni l’ha detto chiaro: dopo giugno diventerà complicato modificare il piano e non perdere troppo tempo nella richiesta della quarta rata. Anche perché – ricordano da Bruxelles – il negoziato sarà tortuoso: una volta ricevuto il nuovo Pnrr, la Commissione avrà due mesi di tempo per fornire il proprio ok, e il Consiglio Ue ulteriori 30 giorni. A meno di probabili proroghe.
E intanto, mentre già si chiedono nuovi fondi, l’Italia continua purtroppo ad accumulare ritardi nella spesa dei soldi che ci sono stati accordati. Il nuovo rapporto sul coordinamento della finanza pubblica della Corte dei conti aggiorna i numeri impietosi. Nei primi quattro mesi dell’anno sono stati spesi solo 1,2 miliardi di euro. Già il ritmo era lento, e nel 2023 invece di accelerare ha rallentato. Dopo il boom di spesa per i bonus edilizi finanziati col Pnrr, per la transizione ambientale nel 2023 sono stati spesi appena 2 milioni di euro. Per le infrastrutture addirittura zero in questi primi mesi, e non è un caso che ormai i progetti ferroviari della Salerno-Reggio Calabria e Roma-Pescara siano sempre più a rischio. Negli ultimi due anni l’Italia ha speso appena il 73 per cento delle risorse previste: per questo il 2023 doveva essere l’anno dell’accelerazione per recuperare i ritardi, ma per ora così non è stato. E non è da stupirsi che la Commissione abbia posto l’Italia tra i paesi in cui i rischi di ritardo sono “crescenti”, a differenza di quanto accade in Spagna e Grecia (“buona attuazione”) e in Portogallo (“qualche rischio” di ritardo).
Non è un caso che da Bruxelles, a fronte di numeri tanto deprimenti e soprattutto senza ancora un piano credibile di spesa, si stupiscano della richiesta italiana di ulteriori prestiti, che prima o poi – seppur a tassi agevolati – andranno rimborsati.