Riformismo dimezzato
Usare il Pnrr come un bancomat è un errore. Vale anche per le alluvioni in Emilia Romagna
Nel Recovery ci sono 2,5 miliardi per il dissesto idrogeologico che andranno più veloci dei fondi regionali e di Coesione e i 6 miliardi per le piccole opere dei comuni, tra cui anche quelle per la tutela del territorio. L’impegno deve essere a spenderli bene e presto. Per la ricostruzione ci sono altre fonti di finanziamento
L’alluvione dell’Emilia Romagna ha riportato a galla la discussione sull’Italia che non riesce a spendere per investimenti. Abbiamo avuto bisogno del Pnrr non perché mancano i soldi ma perché manca il metodo nella Pubblica amministrazione per poter spendere in modo efficiente e veloce. Gli investimenti contro il dissesto idrogeologico sono un triste esempio della più generale difficoltà di investire. La banca dati monitoraggio OpenCup offre la possibilità di capire quanti e quali sono stati gli investimenti programmati, finanziati ed eseguiti limitatamente alla dizione “difesa del suolo”. Dal 2010 al 2022 le regioni hanno presentato più di 95 mila progetti per la tutela del suolo, dalla messa in sicurezza dei fiumi alle foreste alle case, per un valore di 66 miliardi, di questi ne sono stati ammessi al finanziamento, con fondi europei, nazionali e regionali, per un valore di 17 miliardi. Ne sono passati alla fase esecutiva solo per 9 miliardi. Le regioni del nord e del sud hanno una capacità di progettazione analoga, ma poi il nord ha messo a terra il 74% delle opere finanziate, il Sud solo il 38%.
In media servono 3 anni e mezzo perché un’opera passi dalla programmazione all’esecuzione. L’Emilia Romagna fa leggermente meglio di una tipica regione del nord: in 12 anni ha programmato più investimenti per la “difesa del suolo” della media (8.800 progetti per 2.5 miliardi di euro), il 40% del programmato è finanziato (contro una media del 30%), e il 74% circa del finanziato è realizzato.
Le ragioni dei ritardi sono ormai note. C’è un problema di competenze tecniche del soggetto proponente, dalla fase della programmazione a quella dell’aggiudicazione dei lavori, che può essere ovviata con le strutture di missione, come fu Italia Sicura: dal 2017 nei dati si vede un incremento nelle opere programmate, meno nelle opere finanziate e eseguite perché c’è comunque un tappo di capacità di esecuzione nelle amministrazioni a valle. Inoltre le procedure ordinarie vedono tanti soggetti in campo, dalle autorità di bacino alla regione, dai ministeri alle sovrintendenze ai comuni su cui realizzare l’opera.
Quando si arriva al punto in cui decidere, se uno dei soggetti è contrario o anche solo non collaborativo, non è possibile. Questa è la ragione per cui la procedura semplificata della conferenza dei servizi è una delle grandi occasioni del Pnrr. Con il Pnrr invece esistono poteri sostitutivi in caso di stallo. Inoltre – fondamentale – si consente di assumere nuovo personale qualificato e di avere un sistema informativo unico per i dati. Una novità che dovrebbe andare a regime anche per le opere extra e post Pnrr con il nuovo codice appalti. Alcune grandi opere mai avviate come la diga di Campolattaro o la metrò leggera di Afragola hanno già beneficiato delle semplificazioni Pnrr ma anche le piccole opere ne possono beneficiare. Le amministrazioni stanno imparando a lavorare con scadenze più stringenti, un modus operandi che deve diventare strutturale e che però ha bisogno di stabilità. Se ci sono modifiche su tempi e modalità del Piano, questo è già stato fatto molte volte in passato senza drammi. Cosa diversa invece definanziare interi capitoli (non importa che siano i piccoli progetti) a favore di altri, anche a livello territoriale.
Il ministro Fitto ha presentato la relazione semestrale sul Pnrr e assicura che non ci saranno ritardi. Benissimo, ma bisogna evitare tre errori. Il primo è già stato ampiamente commesso: gli investimenti hanno tempi più lunghi dei governi, se cambi la struttura amministrativa stai fermo dei mesi. E' accaduto con Italia Sicura per il dissesto ed è incredibilmente accaduto adesso con la soppressione della segreteria tecnica del Pnrr. Il secondo errore è usare il Pnrr come un bancomat per i bisogni del momento anche fossero quelli della ricostruzione dell’Emilia Romagna. Nel Pnrr ci sono 2,5 miliardi per il dissesto idrogeologico che andranno più veloci dei fondi regionali e di Coesione e i 6 miliardi per le piccole opere dei comuni, tra cui anche quelle per la tutela del territorio. L’impegno deve essere a spenderli bene e presto. Per la ricostruzione ci sono altre fonti di finanziamento oltre il Pnrr: come si è dimostrato non mancano i soldi ma il metodo per spenderli. L’ultimo errore è continuare ad agitare la revisione sostanziale del Piano senza chiarire subito i dettagli. E' sbagliato chiedere per iscritto alle amministrazioni di indicare quali sono i progetti che non riusciranno a completare. L’approccio deve essere il contrario cioè quello di responsabilizzare le amministrazioni a perseguire gli obiettivi fino all’ultimo minuto. La revisione deve essere fatta con rapidità e riservatezza come sono state fatte tutte le revisioni fino ad ora. Quale dirigente infatti accerterebbe una spesa (quindi un rimborso al soggetto attuatore) per un intervento che contestualmente è stato dichiarato “a rischio di revisione”? Si rischia che si fermi tutto fino alla conclusione della trattativa con la UE. Lo stesso discorso vale per la questione del controllo della Corte dei Conti: si può anche togliere il controllo concomitante ma se nel farlo si produce uno scontro, è possibile che la Pa sia indotta ad essere ancor più timorosa della “firma”.
tra debito e crescita