il caso
Industria Italiana Autobus e il buco del bus di stato
La società di Leonardo e Invitalia ha tante commesse, ma non riesce a produrre perché mancano i pezzi. Il cda si dimette dopo aver approvato il bilancio 2022: -47,7 milioni. Ora lo Stato imprenditore deve scegliere un nuovo management
Nel 2012 Sergio Marchionne decise di chiudere l’Irisbus di Flumeri (Avellino) per una semplice ragione: “Non ha mai guadagnato una lira nella sua storia”. La politica, comprensibilmente, volle evitare che 300 e passa lavoratori in una zona depressa perdessero il posto e promise di rilanciare la produzione di autobus: lo Stato imprenditore sarebbe riuscito laddove Marchionne si era arreso.
Arriviamo a oggi. Il cda di Industria italiana autobus (IIA), così si chiama l’azienda che ha unito l’ex Irisbus e l’ex BredaMenarinibus di Bologna, controllata dallo stato attraverso Invitalia e Leonardo, si è appena dimesso in blocco dopo l’approvazione del progetto di bilancio del 2022, che registra una perdita di 47,7 milioni di euro. E non si può dire che il problema sia la crisi economica. Anzi, dopo dieci anni, rispetto al periodo in cui Marchionne doveva ristrutturare e salvare la Fiat, le condizioni del mercato degli autobus si sono completamente ribaltate: i comuni e le amministrazioni locali stanno investendo molto per il rinnovo del trasporto pubblico locale, i progetti nazionali ed europei – si pensi solo al Pnrr – mettono a disposizione molti soldi per la transizione “green”.
E infatti il problema della IIA non è che manchi la domanda, anzi ce n’è persino troppa. Tra Consip e comuni, l’azienda ha firmato commesse per oltre 1.000 autobus. Il problema è che non riesce a produrli. Alimentando il rischio di ulteriori perdite economiche per il mancato rispetto dei contratti: diverse stazioni appaltanti, come i comuni di Bergamo, Palermo e Roma hanno infatti mandato lettere di messa in mora. La società ha a magazzino 29 milioni di euro di componenti, solo che si tratta di quelli sbagliati. Perché per completare gli autobus servono altri pezzi che non sono stati comprati perché è finita la liquidità. Non c’è più cassa né banche disposte a concedere linee di credito. Così ci sono autobus pronti al 90 per cento che non possono essere completati e lavoratori che vanno sul posto di lavoro, ma praticamente non riescono a lavorare, sebbene l’azienda sia piena di lavoro, perché mancano i pezzi.
Di fronte a questa situazione surreale, difficile da immaginare in un contesto diverso da quello di un’azienda statale, erano arrivati segnali chiari di un “cambio di passo”, richiesto dagli stessi sindacati, che è diventato un cambio del management. “Non possiamo più essere il vostro bancomat”, aveva detto al tavolo di crisi Fausta Bergamotto, sottosegretario del ministero delle Imprese e del Made in Italy. Il redde rationem è arrivato nei giorni scorsi, con l’approvazione del progetto di bilancio 2022 che registra perdite per 47,7 milioni e andrà in assemblea il 24 giugno e le contestuali dimissioni del cda per il mancato raggiungimento degli obiettivi. Il ministero guidato da Adolfo Urso prevedeva, per lo sblocco delle tranche di finanziamento, il raggiungimento di specifici obiettivi che consistevano nella realizzazione di 151 autobus, ma l’azienda si è fermata sotto il 50%: 68 autobus completati e 147 in vario stato di avanzamento.
Il principale responsabile è stato individuato nell’ad e presidente di IIA, Antonio Liguori, che era stato nominato da un’intesa tra i due principali azionisti statali Leonardo (28,65%) e Invitalia (42,76%), all’epoca guidate da Alessandro Profumo di Leonardo e Domenico Arcuri. Il terzo azionista, la turca Karsan, che doveva essere il socio industriale, si è completamente disimpegnato e aspetta solo di andarsene o di svanire attraverso i vari aumenti di capitale.
La parabola degli autobus di stato mostrava le sue criticità sin dall’inizio, ma era chiaro come sarebbe andata a finire quando il governo Conte fece subentrare Invitalia che partecipò a un aumento di capitale di 30 milioni di euro, a cui vanno aggiunti 23,7 milioni di contratto di sviluppo. È da allora che si aspetta l’arrivo di un partner industriale, uno che insomma sappia fare gli autobus, che però non si trova mai. Cosicché Leonardo, che quando si chiamava Finmeccanica con l’ad Mauro Moretti aveva deciso di uscire dal settore autobus, si è ritrovata sempre più impigliata e costretta a continue trasfusioni di denaro.
Gli ultimi bilanci di IIA sono un crescendo di perdite: -3,1 milioni nel 2019; -6,5 milioni nel 2020; -26,5 milioni nel 2021; -47,7 milioni nel 2022. L’aumento di capitale di 16 milioni di euro, deliberato nel 2021, è praticamente già evaporato. Così i soci hanno dovuto mobilitare altre risorse per 25-30 milioni tra finanziamento soci e ricapitalizzazione che, verosimilmente, verseranno solo i soci pubblici italiani. Gran parte del peso di questa impresa viene scaricato su Leonardo, che produce aerei ed elicotteri e deve imparare a fare gli autobus. Servirebbe un socio industriale, capace di trasferire tecnologia e riorganizzare uno stabilimento che ha standard di efficienza bassissimi. Il fatto che Iveco abbia deciso di investire a Foggia per produrre gli autobus vuol dire che IIA non solo non ha un compratore, ma ha anche un concorrente capace di fare quel lavoro.
Per il momento è certo che serve un nuovo management. Il nuovo ad di Leonardo Roberto Cingolani è ben consapevole che serve discontinuità, e infatti ha assecondato il cambio del cda. Si fa il nome di Giancarlo Schisano, già capo della divisione Aerostrutture di Leonardo, che ha gestito la riorganizzazione di Pomigliano e Grottaglie. L’obiettivo primario è contenere la voragine di bilancio. Per trovare qualcuno che sappia produrre degli autobus e fare un euro di guadagno, dopo 10 anni dalla sentenza di Marchionne, c’è ancora tempo.