oltre gli slogan
Destra e disuguaglianza, una narrazione che con Meloni non funziona
L'accusa al governo di aumentare la disuguaglianza è infondata, perché smentita dai numeri. Ma soprattutto è fuorviante, perché non descrive la politica economica di Meloni e non capisce perché i lavoratori votano a destra
Il modello narrativo prevede che la destra aumenta la disuguaglianza e la povertà e la sinistra le riduce. La schematizzazione è talmente collaudata che viene usata anche se non è vero. Nei giorni scorsi è uscito il report dell’Istat sulle “Condizioni di vita e reddito delle famiglie” che mostra come circa un quarto della popolazione sia a rischio di povertà o esclusione sociale. Alcuni media hanno riportato la notizia con un tono polemico nei confronti del governo, che ha tagliato il Reddito di cittadinanza (RdC): “In Italia cresce la diseguaglianza, a rischio povertà 1 cittadino su 4” ha ad esempio titolato la Repubblica. È un’affermazione falsa, che se pure fosse stata vera non sarebbe stata imputabile al governo Meloni.
In primo luogo, è il report dell’Istat a indicare come la quota di famiglie a rischio povertà sia “stabile”, mentre la quota di popolazione in grave deprivazione materiale e sociale “si riduce significativamente” (al 4,5% rispetto al 5,9% del 2021 ). Quanto alla disuguaglianza, non è vero che “cresce”: diminuisce. L’indice di Gini, che misura la distribuzione dei redditi, scende a 32,7 punti rispetto ai 32,9 del 2021. È un dato coerente con l’altro report dell’Istat, pubblicato a novembre, che indicava una riduzione della disuguaglianza. Ma soprattutto si tratta di dati riferiti al 2022, quando c’era il governo Draghi che ha adottato misure come l’Assegno unico e la riforma fiscale che, insieme alla crescita economica, hanno contribuito a ridurre povertà e disuguaglianza.
Quindi Meloni non ha colpe né meriti: semplicemente perché non era la governo. Questo dicono numeri e date. È certamente legittimo, come critica politica, preoccuparsi per le misure del governo di destra dato che l’Istat mostra come il RdC abbia avuto un importante impatto sulla riduzione della disuguaglianza. Il governo, che ha riformato e tagliato il RdC, parrebbe andare in direzione opposta. Naturalmente bisognerà vedere i nuovi dati a fine anno, eppure le prime previsioni raccontano un’altra storia.
Nella sua recente Relazione annuale, la Banca d’Italia ha stimato l’impatto delle misure della legge di Bilancio 2023 sulle famiglie: dal lato della tassazione (decontribuzione per i lavoratori dipendenti ed ampliamento della flat tax sugli autonomi) e dal lato dei trasferimenti (rivalutazione delle pensioni, riforma del RdC e dell’Assegno unico, bonus sociale per l'energia). L’insieme di queste misure accresce il reddito disponibile delle famiglie, ma in misura superiore per quelle più povere rispetto a quelle più ricche. Complessivamente, la Banca d’Italia stima una lieve riduzione della disuguaglianza (“l’indice di Gini dei redditi disponibili equivalenti si riduce di 0,1 punti”). Anche se va osservato che l’analisi non considera l’aumento della decontribuzione per i redditi più bassi deciso con il decreto del Primo maggio: quindi la riduzione della disuguaglianza sarà più intensa.
Questo non vuol dire che le misure del governo non creino problemi, più volte segnalati dal Foglio, sotto il profilo dell’equità orizzontale e che non producano serie criticità alle famiglie percettrici di RdC burocraticamente battezzate come “occupabili” anche se nella realtà non lo sono. Ma sostenere che il governo aumenta la disuguaglianza è un’accusa pigra che non descrive la politica economica di questo esecutivo né spiega perché le famiglie di lavoratori con redditi medio-bassi siano il blocco sociale su cui Giorgia Meloni fonda buona parte del suo consenso.