Giorgia Meloni e Raffaele Fitto (Ansa)

Tra roma e bruxelles

Il vero bug del Pnrr è nei comuni. Il personale serve qui, ma governo assume nei ministeri

Marco Leonardi

La via per realizzare il piano passa per le amministrazioni locali, dove tuttavia mancano risorse e competenze. Inoltre si dovrebbe ricorrere all'assistenza tecnica delle grandi centrali di appalto come Invitalia. Ma l'ultimo decreto dell'esecutivo Meloni va nella direzione opposta

In particolare in questi giorni della visita di routine della Commissione in Italia, bisogna far di tutto per suggerire al governo una via di uscita che preveda almeno un parziale completamento del Pnrr. Ne va della reputazione e della crescita dell’Italia. In primis bisogna dire dove sbaglia e potrebbe fare meglio. Il primo problema riguarda la comunicazione che è radicalmente cambiata dopo il cambio di governo. La narrazione è passata da “dobbiamo fare di tutto per rispettare il piano” a “non ce la faremo mai dobbiamo cambiare tutto”.

 

Come ha fatto notare giustamente Federico Fubini questo atteggiamento è presente anche su ItaliaDomani, il sito ufficiale del governo sul Pnrr. Nel 2022 ItaliaDomani aveva organizzato un tour di ministri, presidenti di regione e sindaci per 24 città italiane, quest’anno il sito sembra un rassegnato bollettino di ritardi di chi mal sopporta di dover fare i compiti imposti dall’Europa. Il secondo tema riguarda i comuni. Si è sempre saputo che alcuni sarebbero stati in difficoltà ma si sono previsti molti modi per aiutarli. Del resto il Pnrr è stato fatto proprio per migliorare le procedure ammnistrative degli investimenti in modo che potessero poi diventare permanenti. Ormai i soldi sono stati assegnati ai comuni (e più del 40 per cento al sud), si tratta di concentrarsi sui lavori; è inutile la polemica sui piccoli progetti (che essendo piccoli sono anche veloci, dicono Anci e Ance). Si deve assumere personale nei comuni e ricorrere alla assistenza tecnica delle grandi centrali di appalto come Invitalia oppure all’aiuto dei tecnici di Anci-Ifel o Cdp.

 

L’ultimo decreto del governo prende la strada opposta: si assume personale nei ministeri ma non nei comuni. Oggi i sindaci possono ottenere il 30 per cento di anticipo di spese dal governo ma chiedono un meccanismo più semplice per fare domanda come già c'è per l'edilizia scolastica. Ma non c’è per gli alloggi popolari, i parchi, gli impianti per i rifiuti e la rigenerazione urbana. Chiedono anche una semplificazione di ReGis almeno per le opere già previste prima del Pnrr. Tutte cose possibili. Il governo continua a ripetere che intende rivedere il piano ma, ogni volta che lo dice e non lo fa, spaventa sia i dirigenti dei ministeri e dei comuni che non vorranno firmare atti finché il nuovo piano non è approvato, sia gli altri paesi dell’Unione. Le regole per cambiare il piano sono chiare: “solo quando si dimostra di non poter più attuare specifici traguardi e obiettivi per circostanze oggettive”.

 

Non si può stralciare un’opera dicendo che non può essere completata entro il 2026 e contemporaneamente pretendere di usare quei soldi per fare altro. Particolarmente negativo per la riuscita dal piano è il fatto di farne un tema di campagna elettorale per le elezioni europee. Il motivo è ovvio, se il governo riesce a dimostrare che il piano era tutto sbagliato per colpa dei governi precedenti e di questa Commissione allora si avvia a farne un tema di campagna elettorale ma certo il Piano non potrà essere completato. In questo caso funesto, l’Italia sarebbe l’unico paese incapace di proseguire un piano di investimenti e riforme pluriennale concepito per andare oltre il termine naturale dei governi e della legislatura. Molti paesi hanno votato nel frattempo ma nessuno ha interrotto o stravolto il suo Pnrr. La cosa sarebbe particolarmente negativa anche per altre importanti trattative in Europa anch’esse basate su piani pluriennali condivisi tra Ue e singoli governi e destinati a durare più a lungo dei singoli governi. In particolare la trattativa sul nuovo Patto di stabilità che dovrà essere conclusa presumibilmente entro l’anno.

Nella proposta della Commissione europea, le regole fiscali comuni dovrebbero riprendere dal 2024 con nuovi criteri: i vincoli non sarebbero più imposti dalla Commissione ma proposti dai singoli stati nazionali ma soprattutto non sarebbero più definiti ogni anno per l’anno in corso ma ci sarebbe un piano di rientro pluriennale di 4 o di 7 anni. Un miglioramento significativo rispetto al passato perché ovviamente la cura dei conti pubblici è perseguita meglio con un piano pluriennale concordato piuttosto che con un vincolo anno per anno. Ma l’Italia ha avuto 3 governi diversi, a volte con maggioranze diverse, in ciascuna delle ultime due legislature: saprà il governo successivo rispettare il piano di rientro del governo precedente (magari molto precedente)? La prova sarà proprio il Pnrr, se l’Italia non è capace di rispettare un piano di investimenti pluriennale come il Pnrr per cui ha avuto soldi gratuiti, che fine farà l’ottima proposta della commissione per il Patto di stabilità e crescita?

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