Proprietà illimitata
La stretta del governo sugli affitti brevi non risolve alcun problema, semmai li aggrava
Il divieto di concedere la casa per periodi inferiori ai due o addirittura tre giorni – appare non solo un’incomprensibile intrusione nella libertà dei proprietari di casa di mettere a frutto i loro asset. È, soprattutto, una mossa autolesionistica. Ecco perché
“Non disturbare chi vuole fare”, lo slogan con cui Giorgia Meloni ha vinto le elezioni e inaugurato il suo governo, evidentemente non si applica a chi vuole affittare casa propria. La stretta del governo sugli affitti brevi – il divieto di concedere la casa per periodi inferiori ai due o addirittura tre giorni – appare non solo un’incomprensibile intrusione nella libertà dei proprietari di casa di mettere a frutto i loro asset. E’, soprattutto, una mossa autolesionistica in un paese che ha alcune caratteristiche del tutto peculiari: un patrimonio artistico senza pari al mondo, un vasto numero di unità abitative sfitte, una ricettività turistica insufficiente e spesso disorganizzata, una diffusa proprietà edilizia e un’inflazione tra le più feroci in Europa. Proprio l’aumento dei prezzi, assieme al boom dei viaggi post Covid, ha reso proibitivi i costi della permanenza nelle principali città d’arte.
La possibilità di utilizzare appartamenti privati a tale fine rappresenta una insufficiente ma indispensabile valvola di sfogo. Il fenomeno degli affitti brevi, amplificato dallo sviluppo di piattaforme online, ha avuto effetti dirompenti, in gran parte positivi, e causato una serie di criticità. Tra i primi, va citata la possibilità di rendere disponibili proprietà che, altrimenti, sarebbero state (ed erano) in gran parte destinate a rimanere inutilizzate. Le asprezze della disciplina sulle locazioni, pensata a tutela del locatario anche se moroso, non favoriscono l’impiego delle case sfitte sulla base di accordi di lungo termine. Al tempo stesso, la crescente domanda di spazi ha fatto di questa opportunità una caratteristica sempre più segnante delle nostre città. Inoltre, essa ha reso più visibile e trasparente ciò che prima, seppure su una scala presumibilmente inferiore, già avveniva: oggi i proprietari mettono a disposizione su Airbnb e Booking case che, fino a poco tempo fa, non di rado affittavano in nero. Questa maggiore trasparenza non ha solo conseguenze desiderabili sugli adempimenti fiscali, ma anche sulla effettiva conoscenza dell’utilizzo del patrimonio edilizio e, ovviamente, sul mantenimento degli edifici in condizioni di decoro e sicurezza.
C’è però anche un lato oscuro. Se i proprietari possono essere contenti di vedere crescere la capacità delle loro case di generare reddito, in molte città questo contribuisce al caro affitti, di cui si è ampiamente discusso in occasione della protesta degli studenti a Milano e nel resto d’Italia. Inoltre, non sempre l’utilizzo degli appartamenti a fini turistici è compatibile con la vita condominiale. Questi problemi non vanno negati e richiedono, semmai, di essere affrontati: l’uno riconoscendo l’esigenza di ampliare l’offerta abitativa (anche consentendo un maggiore sviluppo abitativo degli edifici), l’altro facendo leva sui regolamenti condominiali o al limite su ordinanze locali. Se vi è un problema riconosciuto di insufficiente offerta abitativa, è assurdo intervenire con un giro di vite proprio su uno strumento che fa emergere un segmento di offerta. Bisogna al contrario interrogarsi su come incentivare maggiormente queste condotte, anche, appunto, riconoscendo ai proprietari i loro diritti e venendo incontro alle loro preoccupazioni. Invece la manovra annunciata dal governo va proprio nella direzione opposta.
Il modo peggiore di affrontare la questione, infatti, è imporre una regolamentazione nazionale incapace di cogliere le peculiarità delle diverse situazioni: Milano e Roma hanno problemi diversi dalle località di villeggiatura, l’inverno non è l’estate, i grandi centri urbani non sono le zone rurali, le esigenze di chi si sposta per turismo non coincidono con quelle di chi viaggia per affari, le motivazioni per cui una destinazione è più o meno richiesta sono molteplici (dalle vacanze alle fiere, dalle gite ai musei). Tali differenze sono tanto maggiori in un paese così articolato come l’Italia. La proposta dell’esecutivo cerca di catturare questa varietà, imponendo i nuovi vincoli solo nelle città metropolitane e, volontariamente, in altri centri non chiaramente identificati, come se queste realtà fossero assimilabili. Ma finisce per affogare tutto in una burocratizzazione che non serve a nessuno.
Non trattare allo stesso modo cose differenti è un sano precetto del diritto; ammettere che la crescita nasce dalla libertà economica è, a parole, la prospettiva del governo. Davvero la ministra Daniela Santanchè intende rottamare, in una volta sola, il buonsenso giuridico e l’orientamento politico del governo Meloni?