La falsa retorica del portafoglio
Debito e titoli. Occhio al prelievo silenzioso sul risparmio degli italiani
Dietro a questo tipo di narrazione politica c’è solamente il desiderio di non essere soggetti alla disciplina che accompagna un deficit elevato. Si guardi piuttosto alla governance del nuovo Patto di stabilità e al rapporto sempre più difficile con la Bce
Si comincia solitamente così. Esprimendo quel che a prima vista appare un desiderio patriottico: “Vorrei che tutto il debito pubblico fosse nelle mani di italiani”. Un desiderio spesso accompagnato da emissioni implicitamente mirate al pubblico dei sottoscrittori residenti. Emissioni coronate da apparente successo (e chi rinuncerebbe a perdere in termini reali – perché di questo stiamo parlando – meno di quanto non accadrebbe lasciando i propri risparmi in un deposito bancario?). Emissioni non prive di conseguenze collaterali (si pensi alla raccolta bancaria e quindi al volume di credito all’economia). Il passo successivo sono i vincoli di portafoglio. Suggeriti o imposti. Perché mai gli investitori istituzionali non dovrebbero anch’essi dare prova di spirito patriottico e detenere titoli pubblici italiani in un dato ammontare?
Si procede quindi con il suggerire o con lo stabilire che una quota degli attivi degli investitori istituzionali debba prendere la forma di titoli pubblici italiani. Il pubblico applaude senza rendersi conto delle conseguenze e senza ricordare che alla fine sono pur sempre soldi suoi. A questo punto se gli investitori esteri mangiano la foglia il grosso del lavoro è fatto: l’oggetto del desiderio (il risparmio degli italiani) è in trappola. Le opzioni sono tante: così come tante sono le modalità di ristrutturazione del debito. Il risultato è uno solo: un prelievo – nelle forme più diverse – sul risparmio degli italiani. Nella storia d’Italia una significativa riduzione della componente estera del debito pubblico coincide con l’operazione di conversione della rendita del 1894, un pressoché totale azzeramento della stessa componente estera segue al consolidamento del debito pubblico del 1926, la ventata inflazionistica che nell’immediato dopoguerra trasforma in carta straccia il debito pubblico avviene in un momento in cui la componente estera non andava oltre l’1 per cento del totale.
Detto in altri termini dovremmo conoscere – se avessimo studiato, cosa non per tutti vera – cosa accade prima e dopo quella frase apparentemente innocente: il “vorrei che tutto il debito fosse nelle mani di italiani”. Si scrive “vorrei che il debito pubblico fosse nelle mani degli italiani” ma si legge “vorrei non essere soggetto alla disciplina che accompagna un debito pubblico elevato”. Se il governo desse alle parole l’importanza che meritano – con il nuovo Patto di stabilità sullo sfondo, con la Bce sempre meno acquirente di penultima istanza del debito sovrano dell’eurozona – si precipiterebbe a prendere le dovute distanze da una frase che più che superficiale è pericolosa. La componente estera del debito pubblico italiano si aggira oggi intorno al 30 per cento. Ne abbiamo e ne avremo bisogno. Se – sul versante dei sottoscrittori – gli italiani sapessero leggere sostituirebbero oggi i titoli italiani nel loro portafoglio con titoli sovrani di paesi che non immaginano nemmeno lontanamente di fare a meno dei mercati dei capitali internazionali. Hai visto mai. Ma non è affatto detto che sappiano leggere. L’ignoranza è la prima alleata della cattiva politica.