Foto Ansa 

L'analisi

I giovani meritano più di una pensione. Cominciamo con un lavoro adeguato

Marco Leonardi

La cosiddetta pensione per i giovani è un’eterna promessa, ma il governo non ha nessuna intenzione di effettuare un ricalcolo contributivo per chi vuole anticipare l'uscita dal lavoro. La proposta possibile è una pensione di garanzia come premio di consolazione

Dopo diversi mesi di assenza, ieri il governo ha tenuto l’incontro con i sindacati sulle pensioni. L’unica cosa che offre ai giovani è (forse) la pensione per i giovani cioè un minimo di garanzia per le pensioni contributive. Il forse è d’obbligo perché tutti si fanno belli di una promessa che non manterranno mai. Chi ha iniziato a lavorare dopo il 1996 è un “giovane” per il sistema pensionistico italiano perché andrà in pensione con il sistema contributivo, per cui la sua pensione sarà proporzionale ai contributi versati. La cosiddetta pensione per i giovani è sacrosanta ed è un’eterna promessa di tutti i governi. Non si è mai fatta perché comunque il problema di integrare al minimo le pensioni contributive è ancora lontano nel tempo: mancano 10/15 anni al momento in cui la grande maggioranza delle nuove pensioni saranno contributive. C’è una sola ragione valida per affrontare il problema già oggi: se davvero si parlasse di un sistema contributivo non solo per i “giovani” che hanno iniziato dopo il 1996 ma anche per tutti quelli che vanno in pensione oggi e vogliono anticipare la pensione rispetto ai requisiti di legge. Se così fosse (ma non è) invece di usare le varie quote per andare in pensione prima, bisognerebbe uscire con un ricalcolo contributivo della pensione e quindi sarebbe giusto avere da subito una pensione di garanzia – un livello minimo di pensione per chi esce con il sistema contributivo. Ma purtroppo il governo non ha nessuna intenzione di proporre un ricalcolo contributivo per chi vuole anticipare la pensione oggi ma (forse e ripeto forse) ha intenzione di proporre la pensione di garanzia come premio di consolazione per i giovani. E’ l’unica cosa che propone per i giovani: la pensione per i giovani. Se fossi giovane mi arrabbierei: continui a prorogare il favore delle quote per chi va in pensione anticipata oggi e poi mi fai il regalo di consolazione (se me lo fai!) di aggiustare il regime contributivo ben sapendo che è molto più penalizzante di quello di oggi. Ma allora perché non inizi già da adesso a spalmare i costi del sistema contributivo su tutti senza arrivare all’ultimo momento tra dieci anni quando tutti inizieranno a uscire con il sistema contributivo in cui il costo ricadrà tutto intero su quelle generazioni? 

I giovani meritano molto di più della sola pensione per i giovani, meritano un lavoro adeguato. La pressione demografica è diventata un problema urgente: negli ultimi 10 anni abbiamo perso un milione di giovani nella fascia 15-29 anni e abbiamo guadagnato 1 milione di anziani over 65. Anche se fosse solo per questo – per poter sostenere un paese che invecchia – è urgente capire come le condizioni di vita e di lavoro dei giovani possano migliorare. Si rischia che l’invecchiamento demografico si porti dietro una perdita generalizzata di peso “politico” delle nuove generazioni. Un recente studio scientifico illuminante (Bianchi e Paradisi su dati Inps) ha mostrato come in Italia (ma anche in altri paesi europei) i giovani sono penalizzati dai rapporti di forza tra le generazioni all’interno delle stesse aziende. Nel tempo i giovani neo-assunti hanno occupato via via posizioni sempre più marginali all’interno delle aziende come se le generazioni più anziane avessero tenuto per sé tutte le posizioni e i salari migliori.

Dall’altro lato la demografia dà ai giovani una speranza molto concreta: la forza lavoro dei giovani è diventata un bene prezioso. In altre parole, contrariamente ai rapporti di forza tra generazioni che li spingono al margine, i rapporti economici di scarsità dei fattori tendono naturalmente a dare sempre più valore al lavoro dei giovani. Per migliorare le opportunità di lavoro dei giovani, le politiche pubbliche devono far leva sulla demografia e concentrarsi sulla riduzione del mismatch tra domanda e offerta. Devono essere volte a migliorare la formazione e l’orientamento dei giovani fino a rendere la maggior parte di loro occupabili e con il lavoro e la retribuzione a loro più adatta. Se il nostro obiettivo è ridurre il mismatch tra domanda e offerta di lavoro bisogna partire dai Neet. Si parla quindi di favorire l’apprendistato a scuola, di scuole tecniche a livello secondario e terziario (Its). Tutti progetti che fanno parte del Pnrr. Come ne fa parte il progetto di formazione dei giovani disoccupati. 

Inutile concentrarsi nell’ennesimo cambio di regole per favorire i contratti a termine. Siamo in un periodo in cui le aziende stabilizzano i giovani, nulla di male ad iniziare un lavoro con un contratto a termine ma è ragionevole aspettarsi una stabilizzazione al più presto. Piuttosto la politica pubblica dovrebbe occuparsi del caro affitti nelle grandi città universitarie che rischia di pregiudicare l’istruzione dei giovani di oggi o di riservarla solo a chi appartiene alle famiglie più abbienti. Questo sì che è un tema che richiede scelte coraggiose e potenzialmente divisive tra generazioni diverse: quelle che le case le possiedono e quelle che hanno bisogno di prenderle in affitto per studiare.

Di più su questi argomenti: