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Le risorse che non vediamo

Dal cobalto al titanio, siamo pieni di minerali senza (quasi) saperlo

Jacopo Giliberto

Dalla Liguria all’Emilia-Romagna, riserve delle più svariate materie prime si nascondono sotto i nostri piedi. Di proprietà, secondo i casi, dello stato o delle regioni. Appunti per il ministro Urso

Il comitato Amici del Tarinè ha già dato il suo sacro avvertimento. Non bisogna perforare il monte Tarinè fra Urbe, Sassello e Pianpaludo in Liguria per ricercarvi il più vasto giacimento europeo di titanio, perché il monte Tarinè è sacro a Tarinas, il dio celtico del tuono e del fulmine, “e certe divinità – ammonisce il comitato nimby - è meglio non disturbarle”. La Cet, Compagnia europea del Titanio, è avvertita. Stia alla larga dal monte sacro ai numi immortali dei celti e dai 9 milioni di tonnellate di biossido di titanio in concentrazione al 6 per cento, una delle materie prime critiche che l’Unione europea sta cercando forsennatamente per liberarsi della schiavitù cinese dei minerali rari e strategici. È un giacimento, quello in provincia di Savona, di fianco al Turchino – sì, quel Turchino dei 59 martiri macellati a mitragliate dai tedeschi nel maggio del 1944 e sempre quello da abbattere per dissipare le nebbie in val Padana – è un giacimento che trabocca di granati e di eclogiti per la produzione di rutilo di titanio capace di far impallidire quello norvegese Engebøfjell.

 

In questi giorni si seguono gli ammonimenti, i progetti, i convegni dedicati alle materie prime critiche e strategiche. Ne ha fatto cenno giorni fa anche il ministro delle Imprese, Adolfo Urso. Senza saperlo, o spesso sapendolo ma volendolo evitare, calpestiamo un bendidìo minerario. Il viaggio fra i minerali strategici che l’Italia ha-ma-non-lo-sa continua; si sposta di 220 chilometri più in là, a Usseglio, 200 abitanti ufficiali ma non più di un centinaio di persone reali, valli di Lanzo, provincia di Torino. Ecco la miniera di Punta Corna. Cobalto, qui è quel cobalto per cui impazzisce tutto il mondo dell’elettronica. Per l’Europa è un minerale ancora più strategico del titanio. Qui l’australiana Altamin, che sta anche cercando il litio sotto il lago di Bracciano nel Lazio, dice che “a comparative study showed strong similarities to the Bou Azzer Cobalt, Nickel, Gold deposits in Morocco – where the world’s highest grade cobalt mine is situated”. Cioè nelle vene della montagna fra Balma e Usseglio pare che ci siano molte somiglianze con la colossale miniera marocchina di Bou Azzer, che dona nickel, oro e soprattutto cobalto con il grado minerario più alto al mondo. Nelle valli di Lanzo le miniere si conoscono da secoli; nel ‘700 a Usseglio e Balme i condannati ai lavori forzati estraevano il minerale per i coloranti, quello che le amiche di nonna Speranza chiamavano il blé di cobalto. 

 

Un altro permesso di ricerca mineraria è in Emilia fra Berceto e Borgo val di Taro (Parma) dove nell’area denominata Corchia si nascondono riserve di rame, piombo e zinco, argento, oro, cobalto, nickel e minerali associati. Altamin attraverso la controllata Energia Minerals Italia vuole cercare lo zinco e gli altri minerali associati nei calcari metalliferi di Gorno, in una valle laterale della Val Seriana (Bergamo). Ci sono blenda, calamina, galena; nel giacimento sono state individuate 8 milioni di tonnellate di minerale ma le stime fanno pensare ad altri 20 milioni di tonnellate. La miniera potrebbe lavorare dai 25 ai 40 anni. Un anno fa nel salone della casa municipale la presentazione del progetto minerario ha fatto arricciare la pelle ispida ai ruvidi montanari bergamaschi i quali hanno detto no al passaggio futuro di camion per decenni. 
Contenzioso con i “montanari del no” anche in Val di Vara, contro le miniere di rame, piombo e zinco, manganese individuate nell’entroterra di Sestri Levante, Né, Casarza Ligure e Castiglione Chiavarese. Un secolo fa quelle avtarchiche miniere fornivano un quinto del rame italiano.

 

È ovvio, non sono sufficienti al fabbisogno europeo le ricchezze minerarie di questa Italia che ci siamo sempre detti povera di risorse, per schifare le quali invochiamo anche le divinità celtiche più vendicative. La società inglese di analisi minerarie Benchmark Mineral Intelligence dice che il passaggio all’auto elettrica chiederà in tutto il mondo vagonate di materiali rari e in una dozzina d’anni bisognerà avviare 384 siti per estrarre o produrre grafite, litio, nickel e cobalto. Valgono come una cinquantina di queste miniere da aprire i programmi europei per il cosiddetto “urban mining”, cioè lo scavo delle discariche e il riciclo dei minerali rari gettati per decenni insieme con i prodotti. A differenza di altri paesi, dove la proprietà del terreno di superficie scende anche in profondità nel sottosuolo, in Italia le risorse sotterranee sono regolate dal regio decreto n°1443 del 1927 e appartengono, secondo i casi, alle regioni e allo stato. Per esempio lo sfruttamento della miniera colossale di titanio sotto il monte Tarinè in Liguria avrebbe potuto rappresentare un valore attorno ai 500 miliardi – con molte oscillazioni secondo le quotazioni internazionali di minerale – pari a royalty sui 500 milioni per la Regione Liguria. Il viaggio minerario si chiude con un’esperienza personale nelle storiche miniere sarde di carbone del Sulcis.

 

Avviate a metà Ottocento, industrializzate in modo intensivo negli anni ‘30 dal fascistissimo ed ebreissimo Guido Segre, finora dal giacimento di carbone del Sulcis è stato estratto circa l’1 per cento delle riserve. Sono stati scavati furiosamente 30 milioni di tonnellate di un carbone pesante e solforoso. Quando ce n’è ancora là sotto? Tenetevi forte. Ci sono ancora almeno 2 miliardi e mezzo di tonnellate accertate. E mentre ero a 500 metri di profondità un ingegnere minerario mi confidò: ma non sappiamo quanto ce n’è ancora davvero, oltre ai 2 miliardi e mezzo verificati, perché il giacimento continua, e continua sotto il mar,e ancora e ancora e ancora e a un certo punto ci siamo stancati di fare sondaggi; forse 4 o 5 miliardi di tonnellate. Nel buio delle gallerie del Sulcis la miniera è ferma e si sente soltanto il cricrì di grilli, pronipoti di quelli che vi scesero negli anni 30 con le armature di legno che sorreggevano le pareti. Questi grilli neri sulle pareti di carbone nero vivono in una notte eterna e senza luna.

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