la strategia
Campioni nazionali: che fare? La nuova sfida di Meloni, oltre Generali
L'Ivass ha autorizzato Delfin a salire fino al 20 per cento delle quote del Leone di Trieste. Come per altre partire industriali e finanziarie, "ora è il tempo della politica"
Generali sale, Delfin precisa e il balzo del 6% con il quale si è aperta la giornata in borsa viene ridimensionato. Il mercato, intanto, si prepara a un’altra sfida per il Leone di Trieste, anche se i potenziali protagonisti tengono le carte coperte e s’affrettano a raffreddare gli eroici furori. Fatto sta che l’Ivass, l’istituzione che controlla le assicurazioni, presieduta da Luigi Federico Signorini direttore generale della Banca d’Italia, ha autorizzato Delfin la holding della famiglia Del Vecchio guidata da Francesco Milleri, a salire oltre la soglia del 10% fino ad arrivare al 20%. Il via libera è avvenuto dopo che “casualmente” il tetto era stato superato in seguito all’acquisto di azioni proprie. Un evento tecnico che apre la strada a una manovra politica? Equita, l’investment bank indipendente, ritiene che l'autorizzazione dell'Ivass aumenterà nuovamente “l'appeal speculativo” su Generali e indirettamente su Mediobanca. Delfin, dopo che La Repubblica ha sparato la notizia in prima pagina, ha spiegato che questa mossa non nasconde nessuna “particolare strategia”. E tuttavia “questo è il tempo della politica” come ha detto ieri Giorgia Meloni all’assemblea dell’Assolombarda.
Politique d’abord, modello francese e, per una sorta di eterogenesi dei fini, lo stesso modello si sta facendo strada all’interno del governo per affrontare alcuni degli snodi più complicati della finanza e dell’industria italiana. Il paradigma transalpino è da sempre quello dei noyaux durs, i noccioli duri composti da imprenditori e banchieri che con il loro pacchetto di azioni garantiscono che il controllo non cada in mano sgradite, straniere o nazionali che siano. Nel caso delle Generali, il più grande salvadanaio dell’italico risparmio, il nucleo forte potrebbe essere composto da Delfin, tanto più se arriverà vicino a quota 20, Caltagirone che ha il 6,5%, Benetton con il 4,83% e la fondazione Cassa di risparmio di Torino oggi presieduta da Palenzona, con l’1,72% una quota ritenuta strategica. E Mediobanca principale azionista con il 13%? Resta fuori o entra anche lei nel nocciolone tricolore? Dipende dall’assemblea del prossimo ottobre. In borsa molti s’attendono fuochi d’artificio: Delfin possiede il 20% della banca fondata da Enrico Cuccia, Caltagirone il 10%, Benetton il 2,2%. Sul fronte opposto l’amministratore delegato Alberto Nagel sostenuto dal patto di consultazione (ne fa parte anche Mediolanum) che può contare sul 10,9% delle azioni e sul sostegno dei fondi d’investimento. Equita resta cauta sulle intenzioni di Milleri, considerando le sue ultime dichiarazioni orientate più sul core business dell’occhialeria: recentemente ha sottolineato di essere un azionista stabile e soddisfatto per gli utili incassati sia dalle Generali sia dalla Mediobanca. Inoltre, c’è il non trascurabile dettaglio che un 10% della compagnia triestina costerebbe ai prezzi attuali intorno ai 3 miliardi di euro.
Come tutelare i “campioni nazionali” resta al centro della politica industriale. Non basta moltiplicare il golden power, il potere di veto non è sufficiente, può sempre essere aggirato se manca la strategia giusta per usare il potere del denaro. Sul tavolo ci sono una serie di test. All’Ilva lo stato azionista vorrebbe coinvolgere uno o due grandi industriali siderurgici italiani (si parla di Arvedi e Marcegaglia) con i quali fondere il nocciolo che mette in minoranza i franco-indiani di ArcelorMittal. C’è Pirelli: il governo ha bloccato le mire dell’azionista cinese ChemChina che però ha la grande maggioranza del gruppo e ha sborsato 7 miliardi di euro. La Camfin di Marco Tronchetti Provera ha acquisito la facoltà di decidere la governance, però possiede solo il 14%. La Brembo della famiglia Bombassei ha il 6% e si specula su una fusione o comunque sulla nascita di un nucleo italiano con la partecipazione anche di banche come Intesa e Unicredit. E siamo sicuri che la rete telefonica possa andare al fondo americano KKR? O non si prepara una soluzione insieme alla Cassa depositi e prestiti per tagliar fuori la Vivendi di Bolloré? Nella Banca Bpm l’azionista principale è il Crédit Agricole colosso che nasce dal ricco mondo agricolo francese. Anche qui è entrato Caltagirone sempre più protagonista ad ampio raggio del risiko finanziario. Si candida come aggregatore contro una eventuale scalata? Bpm era stato messo in campo per comprare Mps o comunque per diventare il catalizzatore di un terzo polo bancario. Scenari, certo, ma tutt’altro che astrusi quando, tra piazza degli Affari e piazza Colonna, la politica aspira al primo posto.