aziende in russia
Quanto le imprese occidentali aiutano la guerra russa: uno studio
L'anno scorso le aziende internazionali (non solo occidentali) presenti in Russia hanno realizzato nel paese ricavi per 214 miliardi di dollari, versando nella casse di Mosca circa 3,5 miliardi di imposte. Per evitare danni d'immagine e boicottaggi alcune provano a prendere tempo e "ridimensionare" le loro produzioni
Dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina molte aziende occidentali hanno lasciato rapidamente la Russia, ma molte altre – più di quel che si può immaginare – sono rimaste, alleviando le conseguenze delle sanzioni per i russi e versando nelle casse del Cremlino miliardi di dollari in tasse. Secondo il rapporto “The Business of Staying” realizzato dall’organizzazione B4Ukraine e dalla Kyiv School of Economics (Kse), l’anno scorso le aziende internazionali (non solo occidentali) presenti in Russia hanno realizzato nel paese ricavi per 214 miliardi di dollari, versando nella casse di Mosca circa 3,5 miliardi di imposte. Il rapporto considera questa cifra solo la punta dell’iceberg, poiché non tiene conto delle tasse pagate dai dipendenti russi e dell’iva sulle transazioni, né dell’indotto di fornitori e appaltatori locali. Queste entrate hanno permesso al Cremlino di contare su risorse preziose per finanziare la guerra, e di mantenere una certa tranquillità sociale nel paese; sia dal punto di vista dei livelli occupazionali, sia per quel che riguarda la disponibilità di prodotti nei magazzini e sugli scaffali. Anche se il dato riguarda aziende da tutto il mondo, la maggioranza delle tasse è stata versata da società con sede negli Stati Uniti (712 milioni di dollari), seguite da quelle in Germania (402 milioni), Svizzera (275 milioni) e Regno Unito (205 milioni). Le società con sede nell’Unione europea hanno versato 594 milioni in tasse. Numeri superiori a quelle delle aziende con sede in Cina, che hanno pagato tasse per 184 milioni di dollari nonostante non ci sia quasi stato nessun esodo cinese dalla Russia.
I settori che hanno incassato maggiori profitti riguardano alcol e tabacco, beni di largo consumo (di ogni tipo), e automotive. Questi dati sono relativi al 2022 e pertanto va tenuto conto che includono anche le aziende che, nel frattempo, hanno cessato le attività. Ma solo una piccola parte di queste ha effettivamente chiuso tutte le operazioni in Russia, il comportamento più diffuso è prendere tempo, mentre altre stanno dimostrando tutta l’intenzione di restare.
La scelta di rimanere in Russia però espone a rischi inattesi: ne sa qualcosa la Mondelez International, multinazionale statunitense del settore alimentare presente in 150 paesi nota per alcuni marchi iconici a livello globale come il Toblerone e i biscotti Oreo. I prodotti Mondelez sono stati oggetto di un boicottaggio molto severo in Svezia e Norvegia, dove la popolazione è solidamente schierata dalla parte della resistenza ucraina.
Tutto è cominciato dopo che l’agenzia anticorruzione di Kyiv ha inserito l’azienda nella sua lista di “sponsor internazionali della guerra”, incolpando la Mondelez di aver mantenuto tutte attività in Russia, dove il gruppo ha tre stabilimenti produttivi, tremila dipendenti, e 10mila agricoltori russi come fornitori. Il boicottaggio scandinavo non ha coinvolto solo i consumatori, anche diverse aziende nordeuropee hanno annunciato l’intenzione di smettere di vendere i prodotti di Mondelez. La multinazionale ha risposto annunciando il ridimensionamento delle operazioni in Russia e l’intenzione di renderle “completamente autosufficienti entro fine anno”, sottolineando che “niente di quel che viene prodotto sul suolo russo arriva in Svezia e Norvegia”.
Tuttavia, ciò non significa affatto uscire dalla Russia, ma solo fare in modo di separare con cura gli affari nel paese. Una soluzione di compromesso che pagheranno gli ucraini, in un momento storico in cui le scelte di campo non riguardano solo i governi.