Il capitale e il soft power per far crescere le piccole eccellenze
Dalla Francia all’Italia, dove ha investito in 40 aziende: ecco Tikehau Capital, “gestore alternativo globale”, Parla il fondatore, Mathieu Chabran
Quando ormai vent’anni fa Mathieu Chabran lasciò Deutsche Bank insieme al suo ex collega di Merrill Lynch, Antoine Flamarion, nel frattempo passato in Goldman Sachs, lo presero per pazzo. “Crazy” scrisse persino il Financial Times. Due giovani francesi intraprendenti, 28 anni Mathieu e 31 Antoine, che mollavano le portaerei della finanza per imbarcarsi su un loro piccolo, anzi minuscolo battello e solcare un mare allora poco conosciuto, facendosi spazio in un mercato creditizio dominato dalle grandi banche. Era ancora l’era delle fusioni e acquisizioni, della “turbofinanza”, degli ultimi Gordon Gekko che compravano aziende per rivenderle a pezzi, ma la nuova generazione cercava un’altra frontiera radicata nella “economia reale”: gestire risparmi e patrimoni per far crescere le imprese.
Cominciarono a Parigi con i quattrini propri e di qualche amico, ma gli inizi non furono facili. Partirono con quattro milioni di euro per investirne cento, chi avrebbe creduto in loro? La società chiamata Tikehau Capital, dal nome di un atollo della Polinesia tutto sabbia bianca e mare azzurro, passò momenti terribili con la grande crisi finanziaria del 2008-2010 e il crac della Lehman Brothers, tuttavia c’era della logica nella loro follia e lo riconobbero pezzi grossi della finanza francese, nomi come Albert Frère il miliardario di origine belga e Bernard Arnault, il re del lusso. La Francia ha una enorme riserva di risparmio e di proprietà spesso dormienti, non facili da impiegare secondo una moderna logica capitalistica, in questo non è molto diversa dall’Italia. Non è un caso se i due paesi sono oggi i primi mercati per Tikehau Capital. Mathieu come Chabran ama farsi chiamare, li conosce bene entrambi. “Sono del sud, di Aix-en-Provence”, ci dice ammiccando quando lo incontriamo nel suo ufficio milanese. Chi non frequenta la Francia non si rende conto cosa significhi essere del sud, con tutto l’orgoglio gallo-romano e i profumi del Mediterraneo, rispetto al grigio e piovoso settentrione dove si parla un francese incomprensibile; lo ha raccontato in modo spassoso un film di successo “Su al nord”. In più Mathieu mette insieme un piglio americano e uno spirito da ex rugbista: le difficoltà sono occasioni da sfruttare, non si molla fino all’ultimo centimetro pur di varcare o difendere la linea di meta, però è fondamentale lavorare in gruppo, essere veloci nell’individuare gli spazi e “far circolare rapidamente le informazioni”. Alto, dal fisico atletico (continua a praticare una quantità di sport) i capelli biondi lisci e gli occhi azzurri, è un concentrato di idee e un vulcano di parole. Ma qual è il suo mestiere e che cosa fa in Italia? La cosa migliore è spiegarlo con un esempio concreto.
Si chiama EuroGroup Laminations, è un’azienda di famiglia come molte fondata nel 1967 a Baranzate nello hinterland milanese da Sergio Iori che oggi la presiede. Produce lamierini magnetici tranciati, indispensabili per far funzionare motori elettrici e generatori. Una nicchia di eccellenza, ma la transizione energetica l’ha trasformata in uno snodo strategico. Gli statori e i rotori prodotti vengono montati sulle vetture elettriche e ne rappresentano il cuore stesso. E’ la nuova frontiera della componentistica, di quella filiera dell’automotive vanto della manifattura italiana che si trova costretta a passare dal mondo della meccanica a quello elettronico e digitale. Un salto difficile e dispendioso per chiunque. L’amministratore delegato Marco Arduini genero di Iori (ne ha sposato la figlia Alessandra), nel settembre 2020 decide di aprire il capitale e qui interviene Tikehau che acquisisce il 30% delle azioni. Una iniezione di fondi essenziale per crescere. EuroGroup ha già sette stabilimenti in Italia e ne sta costruendo un altro a Baranzate, che lavorerà solo per la Ford, più altri cinque impianti in vari paesi tra i quali il Messico. I suoi clienti si chiamano Porsche, Volkswagen, Siemens, Bombardier, Marelli. Portata a termine il 10 febbraio scorso la quotazione alla borsa di Milano (è stata una delle maggiori Ipo europee di quest’anno), avviati i progetti di crescita grazie all’aumento di capitale da 250 milioni, il fondo francese scende all’8%, ma mantiene una sua presenza con due consiglieri nel cda. Dal suo ingresso, il portafoglio ordini di EuroGroup per veicoli elettrici e dell’automotive, è passato da 1,5 miliardi di euro a circa 5 miliardi di euro; più di tre volte in meno di tre anni ed è più che triplicato anche l’EBITDA. L’investimento è stato realizzato prevalentemente attraverso il fondo di private equity T2 Energy Transition, lanciato nel 2018 da Tikehau Capital con TotalEnergies, per investire in società europee che favoriscono la transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio.
L’attenzione di Tikehau è verso quelle eccellenze che hanno bisogno di sostegni per acquisire una dimensione adeguata alla nuova competizione internazionale. Ce ne sono davvero molte in Italia e in settori strategici, spiega Chabran. Alcune aziende sono di serie A, però la loro taglia resta sempre piccola rispetto ai giganti mondiali. Occorre più ricerca, più organizzazione, più capitale. I francesi sono particolarmente bravi nel marketing e nella capacità di gestire grandi strutture, gli italiani contano soprattutto sulla loro flessibilità e sulla rapidità nell’adattarsi. Ma il mercato dei capitali in Francia è più sviluppato e più articolato, ciò vale per le banche come per i fondi o il venture capital.
Durante la nostra conversazione emerge un vero e proprio spaccato di quel che si può fare in Italia con strumenti adeguati e un approccio aperto, senza paraocchi e senza timori per la rivoluzione tecnologica. Le paure sono forti anche Oltralpe, come dimostra la catena di rivolte innescate da micce diverse che fanno tutte capo allo stesso timore di un salto nel buio. “E’ difficile spiegare agli americani la complessità italiana – ammette Chabran – Ma le assicuro che è altrettanto difficile spiegare la complessità francese. Ci sono molte più somiglianze di quel che sembra”. Non gli piace, ma non lo spaventa il fardello che si porta dietro il sistema Italia. “Siamo partiti con i private debt”, spiega Chabran, poi l’immobiliare, soprattutto a Milano, e il private equity. Del resto, per gestire il risparmio si va innanzitutto là dove è maggiormente indirizzato. “Sul private debt abbiamo fatto un vero e proprio lavoro di evangelizzazione presso gli investitori italiani”, aggiunge perché la cultura finanziaria è da leggermente più indietro rispetto alla Francia. L’Italia è per questo motivo forse ancora più interessante, un campo da arare per portare le imprese familiari oltre la dimensione del cespuglio (definizione cara a Giuseppe De Rita). Mathieu tiene a sottolineare il dialogo fruttuoso con le banche, anche con le più grandi, con Intesa, con le Poste, con Unicredit
Ma è l’industria più che la pura finanza il vero campo da gioco. Anche qui è importante il rapporto di collaborazione, insiste Chabran: Unilever, TotalEnergies, Airbus, Dassault solo per fare alcuni nomi. La filosofia è creare non competere soltanto in un gioco a somma zero dove il pesce grande mangia quello piccolo. Se vogliamo usare la metafora ittica, Tikehau è quello che fa crescere i pesci. Non è una società di investimento no profit né interviene per salvare aziende decotte. La sua “estrazione di valore” si basa su altro. Sceglie aziende che abbiano buone fondamenta e un progetto valido, alle quali mancano non solo i quattrini sufficienti, ma gli strumenti e le attrezzature indispensabili alla crescita, imprese e imprenditori da sostenere con l’organizzazione non solo con le macchine, con la conoscenza dei mercati e le chiavi d’accesso giuste. Esiste un soft power anche nell’industria e spesso è ancor più importante dello hard power. Quotata alla borsa di Parigi dal 2017, Tikehau Capital ha un patrimonio di oltre tre miliardi di euro e gestisce attivi per 39,7 miliardi. Si definisce “un gestore alternativo globale” che interviene con investimenti “su misura” in un’ottica di lungo termine. La cosiddetta de-globalizzazione è l’occasione da cogliere per far compiere un balzo in avanti al tessuto manifatturiero. “L’Italia ha i suoi problemi, ma è un paese fantastico dove operare”: Chabran è un entusiasta. “Abbiamo investito in quaranta aziende e ne siamo orgogliosi”, aggiunge. Tocca a noi gettare acqua sul fuoco. Poi viene l’assemblea di Arera che spiega come in un anno ci siamo quasi liberati dal cappio siberiano e abbiamo risparmiato gas. Vuoi vedere che ha ragione Mathieu?