L'intervista
Tra roghi e alluvioni, la parola chiave è adattamento climatico. Parla Zanchini
“Per riparare i danni causati dagli eventi climatici estremi spendiamo quattro volte di più che per prevenire gli effetti disastrosi sui territori”, ci dice l'ex vice presidente di Legambiente. Il ruolo dell'Ue, le risorse e gli strumenti che servono alle città. Intervista
Il paradosso sta tutto nei numeri: “Per riparare i danni causati dagli eventi climatici estremi spendiamo quattro volte di più che per prevenire gli effetti disastrosi sui territori”. La stima è di Legambiente, di cui Edoardo Zanchini è stato a lungo vicepresidente. Al Foglio dice: “Si può avere idee diverse su quale sia la ragione di questi fenomeni e su come si deve intervenire per la mitigazione. Ma il fatto che ci sia un’accelerazione non può essere più un tema di dibattito. E sulla sicurezza non ci può essere più discussione. Di calamità in calamità il meglio che si fa è riparare danni e distribuire soldi, ma così non si affronta mai il tema della prevenzione”. Per farlo, ragiona Zanchini, serve fissare delle priorità, cambiare approccio a livello europeo e coinvolgere le città.
Il tema è ricorrente, incendi e alluvioni non sono una novità in Italia. Ma l’intensità e la frequenza di questi fenomeni però stanno cambiando e cambia, dunque, anche lo scenario in cui governo e Protezione civile si trovano a intervenire. L’ultimo stato di emergenza è stato decretato ieri per i più recenti eventi critici, tra cui quelli in Sicilia e Lombardia: nuove risorse per rimediare ai danni. L’anno prossimo saremo ancora nella stessa situazione? “Per evitarlo dobbiamo investire sulla prevenzione, ci sono interventi più leggeri che in un anno possono fare la differenza. Conosciamo le zone a rischio, da Palermo a Genova. Sappiamo dove avvengono gli incendi e come ci dobbiamo preparare, così come possiamo prevedere altre ondate di caldo nelle città: servono risorse e organizzazione”. La promessa del governo Meloni, fatta ieri dalla stessa premier, è quella di varare un grande piano di prevenzione idrogeologica. “L’impressione è che Meloni e alcuni ministri, da Pichetto Fratin a Musumeci, si stiano rendendo conto di quel che succede. C’è un pragmatismo del fare che è positivo”, dice Zanchini, che apprezza anche le recenti parole del governatore del Veneto Luca Zaia, “intelligenti e di buon senso perché prescindono dai colori politici”. Tuttavia, ragionare in termini di dissesto idrogeologico è necessario ma non più sufficiente. “Bisogna prestare particolare attenzione alle aree dove si concentrano i problemi: le città e poi le aree costiere che subiscono l’aumento del riscaldamento dei mari”. E servono strumenti e risorse. “Se una città come Milano o come Roma volesse fare un intervento in un quartiere che va sott’acqua quando diluvia non può farlo”, racconta Zanchini, che oggi è direttore dell’ufficio Clima del comune di Roma. La capitale si prepara a presentare la sua strategia di adattamento climatico: “Sarà pubblicata dopo l’estate”.
La parola chiave è proprio “adattamento”, cioè adottare misure adeguate per prevenire o ridurre al minimo i danni, perché concentrare tutti gli sforzi sulla riduzione delle emissioni non ci garantirà estati più fresche e piogge meno violente. “E’ miope non portare avanti entrambe le politiche. Ma mentre sulla mitigazione dei cambiamenti climatici l’Unione europea ha una strategia e ha messo in campo risorse, avviando il percorso in anticipo, sull’adattamento il ruolo dell’Europa è meno incisivo, sia in termini di verifiche sia di stanziamenti. L’augurio è che per la nuova Commissione europea che si insedierà dopo il voto questo fronte diventi una priorità, che significa due cose: dare soldi e supporto tecnico”. In Italia intanto il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici – che attua una strategia definita nel lontano 2015 – resta sospeso in attesa di valutazione ambientale strategica. “Pichetto Fratin ha pubblicato il Piano, come promesso, ma per l’approvazione ci vorrà ancora tempo”. Il prossimo passo è individuare tra le centinaia di opere quelle che si possono finanziare e soprattutto le priorità d’intervento. “Non basta finanziare i progetti pronti o quelli più facilmente cantierabili per investire in prevenzione in maniera efficace: in Italia ci sono aree più fragili di altre. Lo vediamo ciclicamente. Ed è il momento di metterle in sicurezza”.