l'inutile guerra a francoforte
Cosa può fare la politica, oltre a protestare, per frenare il rialzo dei tassi della Bce
Criticare Lagarde non serve a nulla. Per fermare prima l'inflazione, la politica fiscale dovrebbe coordinarsi con la politica monetaria. Questo vuol dire fare austerità, ma prima delle europee i partiti pensano a fare il contrario: spendere
Come era prevedibile, soprattutto dopo il rialzo deciso dalla Federal Reserve il giorno prima ai livelli più alti degli ultimi 22 anni, la Bce ha alzato – per la nona volta in un anno – i tassi d’interesse di 25 punti base, portando il tasso sui depositi al 3,75 per cento. “L’inflazione continua a scendere ma ci aspettiamo che resti ancora troppo alta per troppo tempo”, ha scritto l’Eurotower nel comunicato al termine della riunione che ha deciso all’unanimità di alzare i tassi. E non è detto che sia finita qui, perché “le decisioni future del Consiglio direttivo assicureranno che i tassi siano a livello sufficientemente restrittivo per tutto il tempo necessario in modo da raggiungere il target di inflazione al 2 per cento”.
Sebbene stavolta i riflessi non siano stati prontissimi, non mancheranno le proteste della politica contro la Lagarde matrigna e anti-italiana. E saranno lamentele ad ampio spettro, visto che su questo tema l’arco parlamentare è pienamente concorde, con il supporto anche delle parti sociali e dei principali protagonisti della vita economica. Dal governo all’opposizione, dai sindacati alla Confindustria passando per l’Abi, tutti sono convinti che la politica monetaria della Bce sia dannosa. Che l’inflazione è sì un grave problema, ma che è sbagliato proseguire con la restrizione monetaria. Secondo la teoria, che va avanti da oltre un anno, ormai superata dai dati, che l’inflazione europea è differente: dipende dallo choc energetico e non dal surriscaldamento della domanda.
Questo sebbene le evidenze, e la stessa analisi basata sui dati della Bce, mostri il contrario: l’inflazione complessiva rallenta, ma è persistente l’inflazione di fondo (al netto quindi della componente energetica). “I fattori di rialzo dell’inflazione stanno cambiando”, ha detto Christine Lagarde riferendosi all’aumento della pressione sui prezzi domestici rispetto alla componente “importata” attraverso i beni energetici. Che fare, dunque?
Non è vero che la politica è impotente, rispetto alle decisioni che spettano alla Bce. Può fare qualcosa per evitare che la restrizione monetaria sia più intensa e duratura, coordinando la politica fiscale con quella monetaria. Uno studio, appena pubblicato, del Fondo monetario internazionale (“Shared problem, Shared solution: benefits from fiscal-monetary interactions in the Euro area”) mostra chiaramente che la politica fiscale nell’Eurozona può aiutare la Banca centrale europea a ridurre l’inflazione. Nello specifico, un consolidamento fiscale complessivo nell’unione monetaria dell’1 per cento del pil per due anni e dello 0,5 per cento nel terzo anno consentirebbe un allentamento dei tassi d’interesse di 30-50 punti base, rispetto allo scenario dell’attuale politica monetaria della Bce. Inoltre, dice lo studio del Fmi, l’aggiustamento fiscale sincronizzato alla stretta monetaria ridurrebbe i rischi di frammentazione finanziaria dell’Eurozona e ridurrebbe anche i debiti pubblici che si sono ingrossati in questi anni di crisi.
Naturalmente, l’intensità del consolidamento fiscale dovrebbe essere più intenso per i paesi a più alto debito come l’Italia – che rischiano di essere costretti a fare austerità sotto i colpi del mercato – rispetto ai paesi meno indebitati. Insomma, se il governo italiano volesse allentare la stretta della Bce per riportare l’inflazione al 2 per cento nei prossimi anni, più che protestare e fare dichiarazioni roboanti, dovrebbe attuare una fiscal stance restrittiva (probabilmente leggermente più intensa rispetto a quella approvata con il Def) e proporre un coordinamento delle politiche fiscali europee in tal senso. Allo stesso obiettivo dovrebbero lavorare le opposizioni, i sindacati e la Confindustria – tutti concordi nel condannare l’eccessiva durezza della Bce.
Però questo significherebbe ridurre più rapidamente e intensamente ciò che resta degli aiuti e dei sussidi per far fronte allo choc energetico, rinunciare alle promesse ambiziose sulla delega fiscale, dover rivedere in maniera più selettiva gli sgravi in scadenza come la decontribuzione, etc. etc. Ma ovviamente non accadrà. Perché se è già difficile coordinare la politica fiscale con la politica monetaria (se non quando sono entrambe espansive), l’operazione diventa impossibile quando si conclude un ciclo elettorale: l’anno prossimo ci saranno le elezioni europee e, per forza di cose, tutti gli attori politici – dalla maggioranza all’opposizione – spingeranno sull’acceleratore della politica fiscale quanto più è possibile per aumentare i consensi elettorali. Ma se questo sforzo da parte dei governi non arriverà, e l’inflazione di fondo continuerà a essere elevata, la Bce non potrà che proseguire su questa linea.
Siamo sempre lì: non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca. Non si può volere la riduzione dell’inflazione, che distrugge il potere d’acquisto dei salari, senza l’aumento dei tassi d’interesse. Non si può protestare contro l’aumento dei tassi, che deprimono l’economia, senza contribuire con una politica fiscale responsabile.
tra debito e crescita