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l'analisi

Il “debito buono” e la lezione della sbornia del Superbonus

Mario Seminerio

La spinta espansiva dell'economia italiana è stata determinata in buona parte dal settore delle costruzioni, dove i bonus edilizi hanno giocato un ruolo rilevante. Il problema tuttavia sta nell'ulteriore deficit prodotto che verrà a incorporarsi nei conti pubblici e nelle risorse sottratte all’efficientamento energetico degli immobili

Al termine della sua ricognizione annuale, che ha avuto luogo nel mese di maggio, il Fondo Monetario internazionale ha emesso le sue considerazioni sullo stato dell’economia italiana. Ci sono gli elogi per la resilienza a ripetuti choc avversi e il monito sulla posizione fiscale e di debito. Le due cose sono ovviamente interconnesse: si tratta del cosiddetto “debito buono” di cui parlava Mario Draghi. Che è tale se la sua natura emergenziale viene riconosciuta nel suo rapido riassorbimento al venir meno delle condizioni che lo hanno prodotto. Si potrebbe osservare che in realtà siamo in emergenza permanente da ormai quattro anni. Prima il Covid, poi l’invasione russa dell’Ucraina col suo choc sulle catene di fornitura e sulle materie prime, ora e per gli anni a venire la “pandemia” di sussidi nazionali per attrarre insediamenti produttivi per gigafactory e chips, ma non solo. Ma il “debito buono” nasce tale quando viene finalizzato alla massima espansione per euro (o dollaro) preso a prestito. 

 

Nel caso italiano, per stessa ammissione del Fmi, la spinta espansiva è stata determinata in modo rilevante dal settore delle costruzioni e dall’immobiliare, dove i bonus edilizi e in particolare il cosiddetto Superbonus hanno giocato un ruolo quantitativamente rilevante che sarebbe sciocco negare. Il problema sta in quello che gli americani definiscono “bang for the buck”, che altro non è che l’effetto moltiplicativo dei soldi presi a prestito e messi in circolo. 

In questa definizione rientra anche quello che potremmo definire lo “spiazzamento”, vale a dire quanta spesa indotta dallo stimolo fiscale si sarebbe verificata comunque, date le condizioni di contesto. Nel caso del Superbonus, è di tutta evidenza che tale spiazzamento è risultato molto elevato, non foss’altro per la concomitante presenza di tassi d’interesse nulli o negativi, anche per conseguenza dello shock pandemico. Possiamo dibattere allo sfinimento sulla magnitudine di tale effetto: finiremo nella guerra di religione. Ciò su cui c’è assai poco da dibattere sono gli effetti differiti dei bonus edilizi e in particolare del Superbonus. Che non viene esattamente elogiato dal Fmi, che lo definisce inefficiente, perché alcuni investimenti sarebbero stati effettuati in assenza dei benefici; regressivo, perché legato alla proprietà immobiliare ed erogato in assenza di prova dei mezzi, oltre ad aver conseguito solo modesti abbattimenti delle emissioni. 

Ora, dopo il necessario intervento di contenimento del Superbonus, indotto da Eurostat ma che sarebbe comunque arrivato, anche se forse talmente in là da pregiudicare maggiormente i nostri conti pubblici, dobbiamo trattare con i postumi della sbornia. Che sono più debito, che lentamente ma inesorabilmente verrà a incorporarsi nei conti pubblici, peraltro in un momento di tassi ai massimi da decenni; e risorse sottratte all’efficientamento energetico degli immobili, anche se l’Italia invocherà in sede europea il suo “eccezionalismo” e le sue peculiarità cercando di sottrarsi a un processo che è scontato e fisiologico e che il mercato sanzionerà distinguendo tra immobili energeticamente efficienti e non. 

E perdiamo anche, o forse soprattutto, la spinta alla crescita di cui il governo Meloni mena gran vanto anche se nessuno dalle parti della maggioranza spiega perché le previsioni (che non sono comunque leggi fisiche) ricollocano nel 2024 la locomotiva italiana in coda al convoglio europeo. Un problema logico, prima che economico e statistico. “Ma c’era un’emergenza di collasso della domanda, qualcosa bisognava fare: poi il Superbonus è stato snaturato”, è il mantra ormai ossessivo degli ultimi giapponesi del 110 per cento. Ma la teoria del “debito buono” non impedisce lanci sulla popolazione con l’elicottero fiscale. Anzi, li incoraggia. Solo che un minimo di analisi e discernimento sugli effetti differiti e sul rischio di persistenza di misure perverse andrebbe comunque inserito nell’equazione, possibilmente ex ante.

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