Il presidente dell'INPS, Pasquale Tridico, foto Ansa

previdenza sociale

Sulle pensioni l'Italia si conferma il paese dell'anticipo

Giuliano Cazzola

Le sfide future e il dibattito sindacale sull'età pensionabile. Mobilitazione in arrivo tra illusioni e dati sconcertanti sulla sostenibilità del sistema

"Pensioni: continua il festival del nulla. Dopo il nulla sulle donne e il nulla sui giovani, è arrivato anche il nulla sul tema della flessibilità in uscita, nonostante le promesse in campagna elettorale sui 41 anni”.  

E’ questo il laconico commento della delegazione Cgil dopo l’incontro del 26 luglio scorso con l’Osservatorio tecnico sulla previdenza.  Di conseguenza, in assenza di risposte la previdenza resterà una delle tante ragioni della mobilitazione che porterà la Cgil in piazza in autunno. Così conosciamo almeno uno dei motivi dello sciopero generale preventivo sulla legge di Bilancio, annunciato da Maurizio Landini il quale intende inaugurare appunto, una nuova tipologia di astensione dal lavoro. Alla luce di queste dichiarazioni è legittimo il dubbio che negli uffici di Corso Italia non arrivino i bollettini periodici del Coordinamento statistico-attuariale dell’Inps, o che non vengano letti. Così, prima che in autunno i giornali “amici degli amici” si affannino a spalleggiare  (come è accaduto con la proposta del salario minimo) le rivendicazioni dei sindacati (e della sinistra?) sulle pensioni, è il caso di fornire qualche dato sulle performance del nostro sistema, il cui principale problema sembra essere quello di impedire l’applicazione della riforma Fornero, a prescindere dai problemi di finanza pubblica e della destabilizzazione determinata dai trend demografici. 

L’Italia rimane il paese dell’anticipo. Per quanto riguarda gli stock nel Fondo dei dipendenti privati i trattamenti di anzianità sono il 34 per cento del totale a fronte del 26 per cento di vecchiaia; nelle Gestioni dei lavoratori autonomi il 27 per cento a fronte del 37 per cento; in quelle del pubblico impiego il 48 per cento contro il 17 per cento. Nei primi sei mesi dell’anno in corso (le rilevazioni sono del 2 luglio) per ogni 100 pensioni di vecchiaia ne sono state erogate 132 anticipate per quanto si riferisce al lavoro dipendente privato e 271 nel caso del pubblico impiego. Tendendo conto di tutte le gestioni il rapporto scende a 116 anticipate su 100 di vecchiaia.  Eppure, come fa notare l’Inps “le pensioni anticipate rispetto a quelle di vecchiaia per il totale delle gestioni risultano più basse nel primo semestre 2023 rispetto all’anno 2022, attestandosi al 16 per cento in più rispetto a quelle di vecchiaia”. 

Il motivo è banale ed era prevedibile: Quota 103 è risultato un requisito più severo di Quota 102, perché, pur di consumare il rito dei 41 anni di contribuzione, sono rimasti “imprigionati” quelli che in precedenza erano vicini a maturarne i 38 previgenti e che all’improvviso, se ne sono ritrovati tre in più. E’ interessante osservare i dati relativi all’età media alla decorrenza delle pensioni liquidate per categoria, anno di decorrenza e sesso (questa parola non è ancora stata abolita nella vulgata pensionistica).  Se per i lavoratori e le lavoratrici dei settori privati la decorrenza media del trattamento di vecchiaia si colloca di poco al di sopra dei 67 anni, nel caso dell’anzianità (in cui sono comprese il maggior numero delle pensione erogate nel caso dei lavoratori maschi) siamo a livelli stabili (come negli anni scorsi) intorno ai 61 anni  sia per  gli uomini che per le donne. 

Ciò conferma un dato di fatto. Le coorti che vanno in pensione in questa fase hanno più convenienza ad avvalersi del pensionamento anticipato ordinario (42 anni e 10 mesi per gli uomini e un anno in meno per le donne fino a tutto il 2026 e a qualunque età anagrafica) perché – per come seno entrati e rimasti nel mercato del lavoro – sono in condizione di maturare il requisito contributivo a una età inferiore a quella prevista nelle Quote. Si dimostra così che la riforma “strutturale” rivendicata dai sindacati (41 anni di contributi o 62 di età e almeno 20 di contributi)  tende a perpetuare un passato che si esaurirà insieme ai baby boomer; ma le regole continueranno a essere applicate a generazioni che, per il loro rapporto con il mercato del lavoro, non avranno per tanti motivi (economici e demografici) il problema di un’età pensionabile più elevata, ma stenteranno a maturare importanti requisiti contributivi, come invece è stato possibile per le coorti degli attuali pensionati.

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