Vorrei ma non Pos. Il "tavolo" del Mef ha partorito un topolino
La battaglia del governo contro i pagamenti elettronici, dopo la ritirata sull'obbligo di accettarli sotto i 60 euro, ha prodotto un protocollo volontario. Le banche ora sono inviate a promuovere, se lo desiderano, iniziative per ridurre le commissioni sotto i 10 euro. Tanta propaganda per nulla
Ormai nessuno ricorda la guerra del Pos, che il governo aprì a dicembre scagliando lancia in resta il sottosegretario Giovanbattista Fazzolari contro le “banche private” e la Banca d’Italia loro protettrice. Poco dopo l’impavido braccio destro di Giorgia Meloni e l’esecutivo tornarono con le pive nel sacco per il niet di Bruxelles alla cancellazione dell’obbligo per gli esercenti di accettare pagamenti elettronici sotto i 60 euro. Dopo otto mesi, il negoziato è andato avanti producendo un accordo al “tavolo” del Mef che sancisce la fine della battaglia del Pos: un protocollo d’intesa tra banche, servizi di pagamento ed esercenti che dovrebbe portare a una riduzione delle commissioni su base volontaria.
Riavvolgiamo il nastro. Nella presentazione della legge di Bilancio, il governo inserì la promessa elettorale a favore dei commercianti di abolizione dell’obbligo di accettare pagamenti elettronici di importi medio-bassi. Veniva presentata come una battaglia di libertà, quando in realtà si intendeva togliere la libertà ai consumatori di scegliere il metodo di pagamento. La motivazione secondo il centrodestra era che le commissioni applicate dagli intermediari erano troppo elevate e insostenibili.
Quando la Banca d’Italia in audizione sollevò qualche obiezione, dicendo che il costo di una misura del genere era rappresentato da un aumento dell’evasione, la reazione del governo fu decisa: “Bankitalia è partecipata da banche private”, disse Fazzolari, e pertanto si esprime contro il contante e a favore della “moneta privata del circuito bancario”. A supporto delle tesi monetarie di Fazzolari scese in campo la premier in persona, in una delle prime puntate degli “Appunti di Giorgia”, in cui Meloni spiegò che il contante è “l’unica moneta a corso legale” mentre “la moneta elettronica è una moneta privata gestita dalle banche”. Nessun passo indietro, la difesa eretta dai burocrati sarebbe stata sfondata.
Poco dopo, però, il governo si fu costretto a rendersi conto che la misura sarebbe entrata in conflitto con la Commissione europea su un impegno che era stato preso nell’ambito del Pnrr. Così il governo dovette indietreggiare, ma presentando la cancellazione della misura come una ritirata strategica: il Pos resta obbligatorio, ma al suo posto nella legge di Bilancio venne inserito un “tavolo” al Mef con le banche per convincerle, su base volontaria, a ridurre le commissioni sotto ai 30 euro (non più 60 euro). Ma siccome si trattava pur sempre di quelle “banche private” in grado di condizionare addirittura la Banca d’Italia, su quel tavolo il governo appoggiò una pistola: se entro il 31 marzo non si fosse trovato un accordo, le banche avrebbero dovuto pagare un’imposta straordinaria pari al 50% degli utili derivanti dalle commissioni sui pagamenti. La pistola in realtà era scarica perché, passato il 31 marzo, il governo non ha emanato alcun provvedimento per farsi pagare un’extraimposta impossibile da calcolare.
Ma dopo quattro mesi, ecco la svolta: il “tavolo” ha prodotto un accordo tra Abi (banche), Apsp (servizi di pagamento) e associazioni degli esercenti per la definizione di un “protocollo d’intesa” per promuovere la “digitalizzazione e la concorrenza nei servizi di pagamento”. Con l’accordo, che ha ricevuto il placet dell’Antitrust, le banche “si impegnano a invitare i propri associati” a presentare offerte chiare e comparabili. Inoltre, per chi vuole aderire, c’è l’“invito” a “promuovere iniziative commerciali” volto a ridurre “l’impatto dei costi delle commissioni” non più sotto i 60 euro, come voleva il governo, ma sotto i 30 euro, seppure per essere più precisi queste offerte dovrebbero essere "significativamente competitive” per i pagamenti “fino a 10 euro”. C’è però un vincolo, sempre per le banche aderenti su base volontaria: le promozioni commerciali devono essere “pubblicizzare per almeno sei mesi e avere durata non inferiore a 9 mesi”.
La montagna, insomma, ha partorito un topolino dimostrando che non c’era alcuna emergenza sulla “moneta privata del circuito bancario” (Fazzolari dixit), visto che le commissioni si vanno riducendo da tempo insieme all’aumento dei pagamenti elettronici. Non a caso la soluzione trovata al “tavolo” del Mef, come evidenzia l’Antitrust, “lascia piena autonomia a ciascun operatore in merito alla determinazione dei costi delle transazioni” e “senza porre ostacoli al funzionamento del mercato”.