verso l'autunno

Tra autunno caldo ed europee, la difficile legge di Bilancio di Meloni

Luciano Capone

La frenata del pil, la stretta della Bce, l’opposizione in piazza e le elezioni europee in vista. Per il governo si restringono sempre di più i margini per fare una manovra in grado di rispettare gli equilibri finanziari e le promesse elettorali

Se solo pochi giorni fa Giorgia Meloni si esaltava per la crescita dell’Italia superiore a Francia e Germania, attribuendo i meriti alla politica economica del governo, è probabile che adesso la maggioranza darà la colpa alla politica monetaria della Bce. I dati del secondo trimestre 2023 ribaltano infatti la narrazione: il pil dell’Italia è diminuito dello 0,3 per cento rispetto al trimestre precedente, sorprendendo gli economisti che prevedevano una variazione pari a zero. La performance dell’Italia è la peggiore dei grandi paesi dell’Eurozona: la Francia accelera con un +0,5 per cento, la Spagna prosegue seppure in leggero calo con una crescita dello 0,4 per cento, mentre la Germania chiude la recessione tecnica fermandosi a zero dopo due trimestri di segno negativo. Il dato, come evidenzia il Mef, non dovrebbe far saltare i conti visto che la crescita acquisita per l’Istat è pari allo 0,8 per cento e l’obiettivo per il 2023 del Def è l’1 per cento. Inoltre, il ritorno alla crescita dell’Eurozona nel suo complesso (+0,3) lascia presupporre che la battuta d’arresto italiana non si inserisca in una più pericolosa depressione europea. (Capone segue a pagina tre) Ma il quadro che emerge dai dati preliminari dell’Istat, in attesa di numeri più dettagliati, di una contrazione dell’industria e di un arresto dell’export, seppure a fronte di un lieve incremento dei servizi, non può lasciare il governo a dormire sogni tranquilli. Soprattutto perché anche i dati sull’inflazione, usciti in contemporanea, sono ambivalenti. Di positivo c’è sicuramente il fatto che prosegue la riduzione del tasso d’inflazione dell’Eurozona al 5,3 per cento nel mese di luglio (a giugno era 5,5 per cento), soprattutto per un contributo negativo dell’energia (-6,1 per cento). Anche per l’Italia il dato, seppure sempre superiore alla media dell’Eurozona, è in miglioramento: al 6 per cento, in calo rispetto al 6,4 per cento del mese precedente. A rendere più ambiguo il rallentamento della corsa dei prezzi, è il dato sull’inflazione di fondo (al netto della componente energetica e alimentare), che non dà segni di raffreddamento: si mantiene al 5,5 per cento, quindi ora sopra all’inflazione generale, segnalando una persistenza delle pressioni sui prezzi. Questi dati da un lato rafforzano le decisioni appena prese dalla Bce sul proseguimento dell’incremento dei tassi di interesse, e dall’altro smentiscono in radice la teoria che va per la maggiore in Italia – lungo tutto lo spettro politico ed economico – secondo cui la nostra inflazione sarebbe “diversa”, in quanto importata dall’offerta attraverso i prezzi dell’energia e non dovuta a pressioni dal lato della domanda. Non è così, in numeri parlano chiaro. Come peraltro aveva detto chiaramente giovedì scorso la presidente della Bce Christine Lagarde, annunciando il nono aumento dei tassi in un anno: “I fattori di rialzo dell’inflazione stanno cambiando. Le fonti esterne stanno diminuendo. Al contrario, le pressioni interne sui prezzi... stanno diventando un fattore di inflazione sempre più importante”. Domenica, intervistata dal Figaro, Lagarde non è apparsa affatto preoccupata dalle critiche di Macron e Meloni, dicendosi focalizzata “sull’obiettivo di ridurre l’inflazione”, non escludendo quindi un ulteriore incremento dei tassi a settembre o oltre se necessario. In linea generale, il ritorno alla crescita dell’Eurozona e la contemporanea riduzione dell’inflazione lasciano sperare in un soft landing, ovvero in un processo di disinflazione che produca un rallentamento dell’attività economica ma senza entrare in recessione. Ma ciò non vuol dire affatto che per l’Italia l’atterraggio morbido sia semplice. Le complicazioni, per il pilota Meloni, sono diverse. Innanzitutto nel paese aumentano le tensioni sociali, sia per la contestazione di alcune scelte del governo come la riforma/abolizione del Rdc che sta facendo riempire le piazze di proteste spontanee, sia per l’effetto dell’inflazione che ha già prodotto uno sciopero anticipato contro la legge di Bilancio annunciato dalla Cgil di Maurizio Landini che insieme alle opposizioni in autunno vorrà riempire le piazze di proteste organizzate. In secondo luogo, dato il rallentamento dell’economia, difficilmente nella scrittura della Nadef il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti si ritroverà “tesoretti” o “extragettiti”. Questo costringerà il governo a fare una legge di Bilancio con i fichi secchi: da un lato c’è l’impegno con l’Europa a ridurre il deficit e tornare all’avanzo primario, dall’altro ci sono già molte cambiali in scadenza come ad esempio la proroga della decontribuzione che da sola costa circa 10 miliardi e promesse elettorali come delega fiscale. La terza complicazione sono le elezioni europee del 2024. Con così pochi margini di bilancio a disposizione, sarà difficile per il governo fare una legge finanziaria “elettorale”. Ma questo vorrà dire che oltre che dalle opposizioni, Meloni dovrà fare attenzione al fuoco amico all’interno della maggioranza da parte di chi, come ad esempio Matteo Salvini, punterà a raccogliere consensi per le europee su un piattaforma più antisistema. Non si sa se alla fine l’atterraggio della legge di Bilancio sarà morbido, ma di sicuro il viaggio sarà turbolento.

 

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali