L'editoriale dell'elefantino
Andarci piano col crac delle banche: la tassa sugli extrapofitti non rimette in discussione il liberalismo
L'intervento redistributivo dello stato non è una catastrofe per i mercati né il sol dell'avvenire socialista. Al massimo c'è da correggere qualche asineria
La difesa delle banche è il sacro dovere del risparmiatore, che sa di essere un beniamino della Costituzione. D’accordo, quella bancaria non è la lobby dei tassinari o dei balneari, è la superstruttura finanziaria su cui la struttura di redditi, investimenti e patrimoni si fonda. Scritta la lapide, perché è da crederci, sarebbe però saggio andarci piano. Il governo è spesso confuso nella comunicazione. Meloni parla di margini ingiusti, aggettivo moralistico, Urso (nickname fogliante: Urss) se la prende con le multinazionali, il boss di Ryanair, mica poco, ci sbertuccia come soppressori infantili dell’algoritmo domanda-offerta, il prof. Giavazzi indica gli inconvenienti della misura di prelievo dai margini netti per il 2023 (già in parte corretta), le Borse prima colpiscono poi rimbalzano, come era prevedibile visto che la tassa di solidarietà e riequilibrio non è uno scippo dalle conseguenze mortali, tutt’altro. Andarci piano vuol dire che è finita la fase della pandemia e dei lockdown, che aveva ispirato a Mario Draghi nel marzo del 2020 un pezzo celebre sulla necessità di un intervento anticiclico dello stato, degli stati, sopra tutto attraverso la rete delle banche europee.
Ciò allo scopo di evitare la trasformazione di una recessione da emergenza sanitaria in una lunga depressione economica e industriale, dei consumi e della produzione, con esplicito riferimento agli anni Venti. Detto fatto. Il draghismo, che aveva salvato l’euro al momento giusto, ha poi autorevolmente contribuito a politiche pubbliche in grado di fronteggiare una breve recessione e di non trasformarla in una depressione. Poi la guerra e l’inflazione, massimamente da energia sovraccarica, poi il prelievo sui margini netti delle aziende energetiche fatto dallo stesso Draghi, ora la misura estiva, mal comunicata e peggio confezionata, dal governo di destra. Una specie di patrimoniale retroattiva non è mai una cosa da prendere alla leggera, specie se collegata a umori di destra sociale e sovranista, specie se unita a calmieri e altri presunti dirigismi. Ma nei primi sei mesi dell’anno le banche italiane hanno fatto 11 miliardi di margini utili, in virtù del divario fra tassi attivi e passivi determinato dalle decisioni della Banca centrale europea, e hanno trasferito ai risparmiatori il dieci per cento in meno di quanto ha fatto il sistema bancario europeo, secondo gli analisti di Reuters.
Quindi, si direbbe, niente mani nei capelli, gli aggiustamenti e i rimbalzi dimostrano che se una parte di quei quattrini viene redistribuita con criterio dallo stato, via un decreto del governo di cui per la verità si sa ancora poco, non muore nessuno, non è una catastrofe per i mercati, non è il sol dell’avvenire socialista che incombe come un incubo, non è lo stato delle corporazioni che ingabbia la libertà economica. Non è il caso di riprendere la discussione su liberismo e liberalismo, basta tenere conto del fatto che i mercati sanno bene, e lo dimostra il loro comportamento attuale, che vivono in un mondo di norme che producono norme, che sono in vantaggio o in perdita a seconda delle circostanze, le banche non falliscono, dunque sono in un certo senso dentro e fuori il mercato, per non parlare della loro famosa funzione di sistema sulla quale siamo i più esperti nel mondo.
Luigi Einaudi nel 1928 scrisse in polemica con Benedetto Croce che il liberismo è una tecnica la quale non esclude affatto l’intervento dello stato, ma che risolvere nei termini crociani (o se per questo gentiliani) lo stato in comunità e spirito, e la “nazione” meloniana ne è una eco, vuol dire fottersene di un pragmatico riferimento anetico agli individui, che sono i signori del mercato e dell’economia libera. La sintesi è grossolana ma non inveritiera. Siamo di fronte al rischio implicito in un governo che cerca nella nazione sovrana e nello stato onnipotente un’egemonia culturale e politica contro la società aperta e globalizzata, ma non più di questo, è un rischio implicito non una prospettiva. E il caso della tassazione sui margini netti delle banche non sembra presentarsi con i caratteri del campanello d’allarme ideologico, al massimo, si spera, contiene qualche asineria che sarà corretta. I guardiani dei mercati lo riconoscano, che è meglio.