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I tanti ruoli pubblici nella nuova Tim. Quello decisivo è fare crescere le Tlc nel paese

Carlo Alberto Carnevale Maffè

La debolezza finanziaria, il mercato interno asfittico e i possibili rincari sull’utenza. Ora dopo il “ruolo decisivo nella definizione delle scelte strategiche”, come recita trionfalmente il comunicato del Mef, l’unica cosa che manca, oltre ai soldi, sono le scelte strategiche

Quattro parti in commedia. Con l’accordo tra Mef e Kkr per l’acquisto della rete da Tim, lo stato continua a giocare su tutti i possibili tavoli delle infrastrutture di comunicazione, come un piccione su una scacchiera. Fa il regolatore attraverso AgCom, l’azionista indiretto del principale concorrente (Open Fiber), l’azionista del venditore (Tim) e ora pure l’azionista del potenziale compratore (Netco, con Kkr). Rispetto alla rete telefonica lo stato è uno e quattrino, verrebbe da dire, se non fosse proprio la mancanza di quest’ultimo fattore a spiegare gran parte della schizofrenia istituzionale e finanziaria della politica su questo tema.

Ma ora che il governo ha conquistato un “ruolo decisivo nella definizione delle scelte strategiche” sulla rete Tlc, come recita trionfalmente il comunicato del Mef, l’unica cosa che manca, oltre ai soldi, sono appunto le scelte strategiche. Poiché usa i pochi soldi residui dei contribuenti per ri-nazionalizzare, almeno in parte, il controllo di un’infrastruttura critica, il governo dovrebbe chiarire prima, e non dopo, le proprie intenzioni in merito. Nelle more di uno straccio di strategia nazionale su innovazione e tecnologia, carenza che su queste colonne è stata sistematicamente evidenziata ai nostri pazienti lettori, e comprendendo – peraltro, a titolo personale, condividendole pienamente – le implicazioni geopolitiche di un’alleanza con investitori americani nel settore Tlc, proviamo a delineare le implicazioni industriali di quest’ultima evoluzione.

Con la costituzione di Netco, veicolo che intende rilevare l’infrastruttura di rete di Tim, Kkr e governo si apprestano a creare il secondo operatore wholesale sul mercato italiano, insieme a Open Fiber. Vista la redditività permanentemente negativa di quest’ultima, e in previsione di un tutt’altro che improbabile futuro consolidamento tra le due realtà, l’unica possibilità realistica per remunerare il capitale investito in Netco è che i prezzi all’ingrosso salgano, e che poi vengano necessariamente traslati a valle sotto forma di aumenti per gli utenti finali.

Ohibò, altri “extraprofitti” da tassare? Non scherziamo. Il settore Tlc in Italia, a causa di una domanda asfittica (complice il malcelato luddismo di molti degli ultimi governi nazionali, primo fra tutti l’attuale) e di una pesantissima opera regolatoria che ha di fatto determinato prezzi per servizi di telefonia fra i più bassi d’Europa, presenta da anni una redditività del tutto insoddisfacente, che quindi non attrae facilmente capitali a condizioni di mercato.

Aggiungiamo a tutto ciò il fatto che l’evoluzione tecnologica ha spiazzato molte delle tradizionali professionalità di Tim, creando ridondanze organizzative i cui costi verranno probabilmente addossati a Netco e successivamente, tramite rialzate tariffe wholesale, scaricati sugli altri operatori e quindi sugli utenti. L’alternativa al pure inevitabile aumento dei prezzi dei servizi di telefonia è la messa in atto di una strategia per l’aumento della domanda e quindi dei volumi: quest’ultima sarebbe una scelta molto più intelligente e lungimirante, visti le colossali economie di scala delle infrastrutture digitali e gli effetti di esternalità positiva sulla produttività. Ma questa direttrice si scontra proprio con l’ideologia reazionaria e anti tecnologica di gran parte delle forze politiche italiane, di destra come di sinistra. Per rendere razionale ed efficiente la scelta di far rientrare lo stato direttamente nella proprietà della rete, sia pure con il ruolo di mosca cocchiera seduta sulla grande carrozza di Kkr, ed evitare di far pagare agli utenti l’intero conto di questo ruggente neostatalismo, ci si aspetta che l’operazione finanziaria venga accompagnata da un grande rilancio sull’uso delle tecnologie digitali, che trascini la domanda di famiglie e imprese soprattutto di fibra ottica oltre che di servizi di elaborazione distribuiti, in modalità edge computing, e non solo centralizzati su architetture cloud.

Per dare un senso a questa scelta, la politica dovrà dunque giocare la quinta parte in commedia: quella di favorire l’evoluzione di tutto il paese, famiglie, imprese e Pubblica amministrazione, in una logica digitale. Era una delle grandi promesse del Pnrr: è ora di renderla reale.

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