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Non solo illiberale, l'estensione erga omnes dei contratti collettivi è incostituzionale

Giuliano Cazzola

Un testo sul salario minimo come quello proposto dalle opposizioni e concertato con la Cgil eserciterebbe una violenza sul sistema delle relazioni industriali per come si è costituito dal Dopoguerra a oggi al di fuori dell’articolo 39 della Costituzione. La lezione della legge Vigorelli

Condivido le considerazioni di Giampaolo Galli, comparse su queste colonne lo scorso 8 agosto: l’estensione erga omnes dei contratti collettivi per decreto “è una misura illiberale”. E’ la prova dell’impotenza dei sindacati che, ormai incapaci di fare il proprio mestiere, si rivolgono al governo e pretendono il soccorso della legge. Secondo l’ultimo Report del Cnel, nel settore privato il 57 per cento dei contratti collettivi (per 7,7 milioni di lavoratori) sono scaduti. Nessuno, poi, si è posto il problema di negoziare con le controparti un nuovo indicatore per gli incrementi del costo della vita essendo l’Ipca al netto dei prezzi dei prodotti energetici ovvero proprio dove si pone il problema.

   
Ma l’erga omnes per decreto sarebbe anche incostituzionale
. Pure nel campo delle relazioni industriali, come afferma il Qoelet: “Ciò che è stato sarà e ciò che si è fatto si rifarà; non c’è niente di nuovo sotto il sole’’. Alla fine degli anni 50 il legislatore – che non era riuscito a dare attuazione a quanto previsto dall’articolo 39 della Legge fondamentale –  si sforzò di individuare uno strumento giuridico alternativo per realizzare – a causa dell’ossessione dell’erga omnes – il medesimo obiettivo con altri mezzi. Con la legge n. 741 del 1959 (la c.d. legge Vigorelli) il Parlamento attribuì al governo la delega per emanare una serie di decreti legislativi contenenti la garanzia di un “minimo di trattamento economico e normativo’’ per ogni categoria, conformando i singoli decreti al contenuto dei contratti collettivi esistenti al momento dell’entrata in vigore della delega. Ne risultò un ibrido con la forma di una legge sui minimi e la sostanza di un’estensione erga omnes dei contratti collettivi, attraverso il loro “recepimento’’ legislativo: tutto ciò, al di fuori delle modalità e delle procedure previste nella Costituzione. Proprio per questi motivi l’intervento fu ritenuto ammissibile, dalla Consulta, in ragione della sua temporaneità, transitorietà e straordinarietà. La Corte costituzionale abrogò, invece, la successiva disposizione di proroga del termine originariamente previsto, ritenendola in contrasto con la natura necessariamente transitoria e provvisoria di quel sistema di estensione dei contratti collettivi, diverso da quanto previsto dall’articolo 39. In sostanza, però, la lezione apparve molto chiara: gran parte dell’attività contrattuale svolta fino a quel momento era talmente rigida da poter essere trasferita in blocco in un corpo legislativo. Fu una sorta di canto del cigno di un assetto contrattuale ancora fortemente permeato dagli accordi corporativi, tanto che negli anni immediatamente successivi la qualità della contrattazione collettiva subì una forte accelerazione. E tutto quell’apparato legislativo si rivelò imbalsamato e da cestinare.

  
Galli poi spiega come e perché una legge sulla rappresentanza presenterebbe delle complessità sottovalutate. A mio parere, poi, una legge siffatta eserciterebbe una violenza sul sistema delle relazioni industriali per come si è costituito dal Dopoguerra a oggi al di fuori dell’articolo 39 Cost. L’attuale sistema si fonda sui princìpi del reciproco riconoscimento, dell’autonomia e della libertà contrattuale, della gestione affidata alle parti che di questo sistema sono state protagoniste, del diritto comune.

 

Bisogna poi ridimensionare la leggenda metropolitana dei c.d. contratti pirata. Come ha dimostrato Adapt  – in un’audizione presso la commissione del Lavoro della Camera – nei settori privati 12,5 milioni di lavoratori sono “coperti’’ da contratti stipulati da Cgil, Cisl e Uil, 380 mila da altre organizzazioni “minori’’, non necessariamente “pirata’’. Secondo una stima del Cnel, i contratti a cui attribuire questa definizione, al di là del loro numero, interessano solo 44 mila lavoratori, lo 0,3 per cento del totale. Queste organizzazioni “gialle’’ si avvalgono della possibilità di stipulare un contratto “nazionale’’ che coinvolge un gruppo di aziende in un determinato territorio. Basterebbe ricordare quanto prevede l’articolo 17 dello Statuto sotto il titolo: “Sindacati di comodo”. “E’ fatto divieto ai datori di lavoro e alle associazioni di datori di lavoro di costituire o sostenere, con mezzi finanziari o altrimenti, associazioni sindacali di lavoratori’’.

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