La legge
L'Italia “ecologica” ha bloccato il biometano. E ora i produttori vendono in Germania
Un mese e mezzo fa, un decreto ministeriale ammazzabiometano ha stabilito che per essere dichiarato bio il gas deve avere un certificato statale di garanzia d’origine, in assenza di questo certificato il prodotto viene venduto al prezzo fossile di 30 centesimi al metro cubo, pari a quello di giacimento
Un Paese meraviglioso. Una sessantina di aziende in Italia producono biometano, cioè il metano non estratto dai giacimenti bensì prodotto facendo fermentare scarti agricoli, rifiuti organici e letame degli allevamenti. Una ventina di esse lo trasformano in Gnl, cioè il gas viene liquefatto raffreddandolo a -163 gradi sotto zero. Poi viene caricato su autobotti criogeniche. Viene portato in Germania. E in Germania arrivano i camion italiani con motore a Gnl, fanno il rifornimento di biometano arrivato dall’Italia, poi con il serbatoio pieno tornano in Italia. In Italia (il Paese che ha più automobili a gas in Europa, il Paese popolato da 60 milioni di ecologisti-sì-ma-non-fatelo-qui) c’è un milione di veicoli a metano che non riescono a usare biometano, quello a impatto climatico zero. Nei camion ha un impatto di riduzione della CO2 pari ad almeno il -80% rispetto al gasolio. I camion italiani che vanno in Germania a rifornirsi di metano italiano è l’effetto delle regole della solita Italia che rifiuta il bene raggiungibile e predilige il meglio velleitario di un certificato che dimostri l’origine rinnovabile di quel gas. Non esistono ancora impianti abilitati a ottenere quel certificato. I primi forse tra un anno cominceranno a produrre gas certificato bio.
Atto primo
Il fatto. Per quattro anni, dal marzo 2018, in Italia ha funzionato un decreto che incentivava il biometano come carburante per i trasporti. Il sistema d’incentivazione era macchinoso, polveroso e complesso, prevedeva certificati d’immissione al consumo assegnati dal Gse ai produttori. L’incentivo finale intascato dal produttore si aggirava sui 60 centesimi per ogni metro cubo di gas venduto, cui aggiungere il prezzo di mercato del metano.
Atto secondo
Un anno fa, il 15 settembre 2022, quando si tagliava l’import di metano dalla Russia, quando l’Europa con il RepowerEu sollecitava il ricorso alle bioenergie, quando i prezzi del gas rendevano insostenibili le bollette, allora venne emanato un altro decreto. Ancora più complicato e sabbioso. Una tariffa onnicomprensiva, una tariffa premio, un aiuto del 40% in conto capitale per costruire gli impianti, l’iscrizione ad aste gestite dal Gse, carriolate di documenti, risposte dopo mesi d’attesa. La procedura è potuta diventare operativa pochi mesi fa. Il biometano può essere usato per i motori ma anche per altri settori, per esempio nell’industria al posto del gas fossile.
Atto terzo
Il 14 luglio 2023, cioè un mese e mezzo fa, un decreto ministeriale ammazzabiometano ha stabilito che per essere dichiarato bio il gas deve avere un certificato statale di garanzia d’origine. Solamente se ha questa certificazione il benzinaio può dichiarare che il suo metano è bio, la grande azienda di trasporti può continuare a scrivere sui suoi camion “io rispetto l’ambiente” disegnando una mucca che caga fiorellini, il grande produttore svedese di mobili o il colosso parmigiano della pasta e dei frollini possono far valere i crediti di carbonio. Se non c’è questa garanzia statale d’origine, il prodotto è pari a quello di giacimento e viene venduto al prezzo fossile di 30 centesimi al metro cubo, cioè molto meno del costo di produzione. Problema. La sessantina di bioproduttori attuali, registrati nel decreto del 2018, non hanno diritto ad alcun certificato. Se vogliono vendere a prezzo bio, i produttori devono liquefare il gas e venderlo all’estero, per esempio in Germania, dove al posto delle vagonate di documentazione si preferiscono i controlli ispettivi diretti.
Gran finale
In Italia si produce senza poter avere il certificato statale d’origine circa mezzo miliardo di metri cubi di biometano l’anno e a fine 2023 la produzione si avvicinerà al miliardo di metri cubi annui, quanto il futuro giacimento Argo Cassiopea che l’Eni sta per perforare nel Canale di Sicilia. Però sono in vendita sui mercati internazionali dell’Esg i certificati verdi rilasciati anche dai Paesi più stravaganti al mondo associabili al gas più fossile e inquinante del pianeta. Intanto gli imbrattatori alla vernice lavabile sono in eco-ansia per gli inesistenti sussidi al fossile.