l'analisi
Del nuovo “miracolo economico italiano” non c'è già più traccia
La frenata del pil registrata nel secondo trimestre ha ridimensionato gli entusiasmi. Ma sarebbe sbagliato anche deprimersi per dei dati che riportano semplicemente alla realtà
Per quanto ci sforzi, per quanto si cerchi, non si trovano più. In spiaggia o sui sentieri di montagna nessuno li ha visti. Al bar o in pizzeria qualcuno ne conserva un vago ricordo. Ma la realtà è che degli aedi del “nuovo miracolo economico italiano” sembra non esserci già più traccia. Comparsi all’improvviso alla fine dello scorso anno, moltiplicatisi in primavera, sembrano ora essere del tutto spariti dai radar, complice la battuta d’arresto del prodotto interno lordo registrata nel secondo trimestre, confermata ieri dall’Istat e accompagnata da indicazioni non del tutto positive provenienti dal mercato del lavoro. Così come sbagliavano coloro che dipingevano la trasformazione dell’economia italiana da “lumaca a lepre” così, peraltro, sbaglierebbero coloro che dovessero stracciarsi le vesti per il rallentamento dell’economia italiana. La realtà è, in larga misura, ancora la stessa: l’Italia cresce a ritmi non dissimili da quelli dell’area economica in cui è immersa. Non diversamente da quanto accaduto negli ultimi tempi, tendenzialmente un po’ meno. I dati relativi al secondo trimestre del 2023 non cambiano questo dato di fatto così come non lo cambiavano quelli relativi ai trimestri precedenti. In termini di crescita potenziale – e cioè di tendenza di lungo periodo, che è poi ciò che realmente dovrebbe interessarci – sta relativamente peggio oggi è chi ha assorbito meglio lo shock pandemico e viceversa. Ma nel complesso il tema di fronte al quale il paese si trova non è radicalmente mutato negli ultimi tempi. E’ mutato, questo sì, il clima entro il quale ci muoviamo: l’autunno non è più una stagione di elevata instabilità cosi come è accaduto per quasi tutta la passata legislatura. La discussione sulla manovra di finanza pubblica non è più quella sorta di festa di San Firmino cui abbiamo attoniti assistito fra il 2018 ed il 2021. Le sorprese sono sempre possibili ma tutto lascia supporre che il timoniere sia sobrio e presente a se stesso.
Sarebbe ora necessario che le scelte di politica economica trovassero una loro esplicita coerenza. Fossero riconducibili a un obiettivo di fondo. In parte è già così: la stabilità interna e internazionale e la capacità del paese di rivelarsi attrattivo per i capitali esteri vanno di pari passo anche se l’apertura ai mercati e all’impresa privata sono a volte un patrimonio della teoria più che della pratica. Ma si può certamente fare di più e sarebbe importante farlo già dalla prossima manovra di finanza pubblica. Poche grandi scelte strategiche in grado di indirizzare le aspettative di chi poi la crescita la fa per davvero: le famiglie e le imprese. Gli interventi minuti, frutto della politica minore, non mancheranno. Come sempre. Ma è essenziale che non rendano incerta e indecifrabile la direzione di marcia.
Ciò implica anche sforzarsi di formulare proposte congruenti, indirizzate a chi già opera in questo paese e non solo a chi potrebbe decidere di farlo. Un esempio per chiarire il punto. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza contiene interventi molto significativi in campo infrastrutturale. Tali – se portati a termine nei tempi e nei modi dovuti – da cambiare in misura significativa il potenziale di crescita del paese. Sempre in campo infrastrutturale, si annunciano interventi di portata molto ampia anche su altri fronti. Bene, se questo è l’obiettivo, sarebbe molto importante che il governo e la maggioranza rendessero evidente la loro convinzione circa la possibilità di raggiungerlo e la loro volontà di farlo. La legge delega di riforma del fisco ha introdotto il principio di aliquote Ires differenziate, legando però la differenziazione ai comportamenti delle singole imprese. Perché non provare a rovesciare la logica del ragionamento? Perché non immaginare aliquote Ires differenziate sulla base della dotazione infrastrutturale delle singole regioni o province con l’obbiettivo di pervenire ad una aliquota unica a livello nazionale quando lo sforzo di adeguamento infrastrutturale si sarà compiuto? Grazie al Pnrr e non solo. Con oneri per il bilancio dello stato che potrebbero essere pienamente sostenibili, sulla base di informazioni già oggi ampiamente disponibili, stabilendo un nesso logico fondamentale fra quel che lo stato chiede e quel che lo stato dà. Piuttosto che dirci, tanto per cambiare, che cosa dobbiamo e che cosa non dobbiamo fare, quali investimenti portare avanti e quali accantonare, chi assumere e chi invece no, lo stato si guardi allo specchio, prenda atto delle proprie carenze, riduca le proprie pretese lì dove queste carenze sono più evidenti proponendosi concretamente di superarle, e così facendo si renda credibile ai nostri occhi. Uno stato credibile sarebbe, per i cittadini di questo paese, una innovazione senza precedenti (o quasi).