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I sindacati americani vogliono un Elkann più simile a Rep

Stefano Cingolani

Stellantis (con General Motors) ha grossi guai con il sindacato degli Stati Uniti. Tema: i salari. Sfida da seguire

Shawn Fain viene dalla Stellantis, è salito al vertice del più potente sindacato americano, lo UAW, United Auto Workers, e adesso alla Stellantis (vuol farla pagare cara: un aumento salariale del 40% in quattro anni (la durata del contratto) e la restituzione di tutti i benefici tagliati durante la grande recessione del 2008-2010. Eletto presidente in aprile e per la prima volta direttamente dagli iscritti (390 mila più 600 mila pensionati), è pronto a proclamare uno sciopero per il 15 settembre che dovrebbe coinvolgere anche la General Motors. Ma non solo: denuncia i due grandi gruppi dell’automobile accusandoli di pratiche sindacali sleali. Ha già inviato il dossier al National Labor Relations Board  (l’agenzia federale nata per proteggere i diritti dei lavoratori, la contrattazione collettiva e la concorrenza leale), certo di trovare ascolto dall’amministrazione Biden.

I vertici di Stellantis (il cui presidente è John Elkann, editore del gruppo Gedi) e GM sono stati presi in contropiede, si dicono sorpresi e respingono le accuse (e chissà che cosa direbbe  Fain se sapesse che i giornali controllati dal presidente di Stellantis in Italia seguono la stessa agenda del suo sindacato). Elettricista alla Chrysler di Kokomo nell’Indiana, a 55 anni Fain arriva alla carica di vertice dopo cinque mandati al sindacato aziendale e dieci nella unione. Ha attraversato la crisi che ha portato l’azienda sull’orlo del fallimento prima di essere presa dalla Fiat, ha assistito al contratto firmato con Sergio Marchionne che provocò le dimissioni dell’allora capo dell’UAW, il quale se ne andò dichiarando che venivano calpestati cinquant’anni di sindacalismo americano. Ma ha anche visto la rinascita del gruppo, il successo della Jeep e dei pick-up, la forte ripresa economica dopo la pandemia. Adesso vuole cogliere i frutti del nuovo boom manifatturiero favorito dal rimpatrio di molte produzioni e dagli incentivi varati dalla Bidenomics.

Se per molti versi c’è il sapore della rivincita personale nella linea dura, per altri il sindacalista cavalca la svolta avvenuta in questi anni nell’industria a stelle e strisce, una politica che ha trovato tra i suoi critici niente meno che Larry Summers già presidente dell’università di Harvard, Segretario al Tesoro con Bill Clinton e consigliere di Barack Obama, un guru del pensiero economico Democrat. L’economista, nipote di Paul Samuelson, sente odore di protezionismo dietro i sostegni pubblici alle imprese cominciati già nel 2021 con l’American Rescue Plan da 1.900 miliardi di dollari e culminati nell’Ira (Inflation Reduction Act). A suo avviso l’inflazione americana è stata alimentata proprio da queste scelte che hanno spinto in alto i salari e innescato la spirale dei prezzi costringendo la banca centrale ad aumentare il costo del denaro. “Sono profondamente preoccupato dalla dottrina di un nazionalismo economico centrato sulla manifattura”, ha detto Summers parlando al Peterson Institute for International Economics. “Non è questa la strada per aumentare i redditi e gli standard di vita della classe media”, ha aggiunto.

Il problema oggi non è la disoccupazione, ma i costi, sono questi che erodono i redditi e le condizioni di vita”. Dall’amministrazione Biden replicano mostrando i risultati ottenuti, l’aumento dei posti di lavoro e della domanda interna, il ritorno in grande stile del made in USA. Summers sarebbe un globalista nostalgico che non vuol trarre le conseguenze inevitabili della svolta geopolitica avvenuta in questi anni. “La pandemia e la guerra della Russia hanno reso chiaro che la catena dell’offerta può essere facilmente interrotta e risorse critiche distrutte – ha replicato alla CNN Michal Kikukawa, portavoce della Casa Bianca – Gli investimenti in infrastrutture, energia pulita e semiconduttori non creano solo nuove fabbriche e posti di lavoro, ma rendono l’economia più resiliente. La Bidenomics è una rottura con la teoria dell’effetto cascata (secondo la quale i benefici dei ricchi ricadono sui poveri, ndr)”. “Qualche volta siamo d’accordo con Larry, altre volte no”, ha ridimensionato il dissenso Jared Bernstein presidente del Council of Economic Advisors. Summers, del resto, non è stato bandito dalla Casa Bianca, anzi viene spesso consultato, anche quando si è trattato di lanciare le due principali leggi di sostegno all’industria.

Biden lo chiama “Lar” e gli ha persino sottoposto in anteprima un suo discorso chiedendogli consigli, ma l’economista si schiera con i “centristi” e invita il presidente a resistere alle sirene liberal. Non si è espresso sulle nuove tensioni sindacali, ma la conseguenza della sua analisi è chiara: guai a innescare la spirale perversa che negli anni ’70 ha provocato la stagflazione. Summers ha teorizzato che le economie sviluppate stanno entrando in una fase di stagnazione secolare. La crescita di questi anni a suo avviso non inverte le tendenze di lungo periodo, a cominciare dal declino demografico.

Un dibattito teorico-pratico di grande interesse, ma non scalfisce la convinzione di Fain che i redditi di operai e tecnici non sono cresciuti abbastanza perché del nuovo ciclo manifatturiero hanno approfittato soprattutto le imprese aumentando i profitti e peggiorando le condizioni di lavoro. La Ford ha evitato le ire del sindacato e ha concesso il maggior aumento salariale dal 1999 tra incremento base del 9% e un altro 6% forfettario più un miglioramento “sostanziale” dei benefits. Inoltre viene portata a 20 dollari l’ora la paga dei lavoratori temporanei. “La nostra offerta è significativamente superiore rispetto a Tesla e ai costruttori stranieri che operano negli States”, ha dichiarato Jim Farley, amministratore delegato della Ford.

Il presidente dello UA non è soddisfatto, ma non può ottenere di più. La sua arma adesso è politica: mettere pressione su Biden affinché aiuti a piegare la resistenza di Stellantis e General Motors. E minaccia: “Il nostro sostegno alla rielezione del presidente va guadagnato, non è più concesso gratis come accadeva in passato”, ha dichiarato al Washington Post. Ce l’ha in particolare con i sussidi all’auto elettrica, vuole che il sindacato sia coinvolto nelle scelte di politica industriale e insiste: “Sono contento di vedere che l’amministrazione respinge la falsa scelta tra posto di lavoro buono e posto di lavoro verde”. Vuoi vedere che ha parlato con Maurizio Landini?

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