Il commento

Che cosa può imparare l'Italia dalla giusta sveglia rifilata alla Germania dalla Corte dei Conti

Oscar Giannino

Tre lezioni per il nostro governo dopo l'intervento dei giudici contabili tedeschi sull'artificio contabile di Berlino per spalmare oltre 100 miliardi di interventi pubblici

Viva viva la Corte dei Conti tedesca. Dal 2020 chi qui scrive si è sentito un cretino tutte le volte che nei podcast si dichiarava incredulo su come nessuno facesse un plissé a di fronte agli annunci del governo germanico di enormi programmi di sussidi diretti e incentivi fiscali pubblici a imprese e famiglie – prima per fronteggiare la pandemia, poi per l’esplosione delle bollette energetiche, poi per accrescere le spese per la difesa e per la transizione green e digitale. Il problema non era la deroga, rilevantissima per ammontare, al divieto di aiuti di Stato alle imprese, che era sospeso e tale resterà anche per il futuro, se ricondotto alle transizioni. Il punto era che queste centinaia di miliardi di interventi pubblici non erano presenti nel bilancio ordinario tedesco, ma classificati in fondi extrabilancio, a cui Eurostat aveva dato il placet che rilevassero per deficit e debito non nell’anno in cui le misure erano varate, ma esclusivamente in quello in cui fossero eventualmente utilizzate davvero e per la sola parte utilizzata pro quota. Da ieri mi sento meno cretino: la Corte dei Conti tedesca – sia pur in un parere non vincolante - ha azzerato la pretesa di continuare nell’artifizio, visto che la legge di bilancio che il rigorosissimo ministro Lindner voleva presentare non correggeva né per il 2023 le cifre reali di deficit – derivanti dalle quote già utilizzate dei diversi fondi – né programmaticamente per il 2024 l’effetto trascinamento sul deficit ulteriormente prevedibile. Il che significa che la bozza di bilancio tedesca per il 2024 sottovaluta almeno un abbondante 2 per cento di deficit in più rispetto a quanto dichiarasse il governo. E tenuto conto del Pil germanico quasi il doppio del nostro, il deficit tedesco era sottostimato di 70 miliardi. 


Vediamo cosa dirà Eurostat, sarebbe stupefacente se fosse meno rigoroso della Corte tedesca.  Ma almeno tre osservazioni oggettive si possono fare subito. La prima: i governi italiani che hanno varato bonus e superbonus edilizi anche superiori all’ammontare della spesa nei lavori non solo li hanno fino a pochi mesi fa riservati a tutti senza tetti di reddito, e senza mirarli solo a riduzione dell’impatto energetico degli edifici, come negli altri paesi Ue. La scelleraggine è stata la cessione all’infinito del credito – anche questa interrotta solo pochi mesi fa – che ha spinto Eurostat a dire che allora i crediti erano totalmente esigibili, e andavano dunque spesati o previsti in deficit a partire da quando le misure erano state varate, cioè per competenza e non per cassa. La Germania non è stata così stupida, ed Eurostat le ha concesso misure per centinaia di miliardi da spesare o prevedere in deficit solo quando la cassa fosse stata utilizzata davvero. Ulteriore prova della cieca inadeguatezza dei partiti di sinistra e destra che hanno sostenuto in Italia misure così mal congegnate. Che proiettano nel triennio fino a 100 miliardi di minori entrate e cioè deficit se non le si pareggia con minori spese, visto che su 146 miliardi oggi stimati di crediti quelli messi a compensazione tributaria sono solo 23 miliardi. Almeno la Germania usa quei fondi per moltiplicare e attrarre nuovi investimenti su frontiere avanzate dell’innovazione. Noi no.  


Secondo: l’Italia eviti ora polemiche dirette con Berlino, non abbiamo patenti di primo della classe. Sarebbe saggio invece che, in vista degli accordi finali sul nuovo Patto di Stabilità Ue, proprio la via degli artifizi tedeschi sin qui autorizzati convincesse numerosi partner non a escludere per i Paesi come noi più indebitati il ritorno ad un calo del deficit almeno dello 0,5 per cento di Pil l’anno, come a oggi chiede la Germania, ma a prevedere invece che per tutti possa valere che una buona parte degli incentivi fiscali riservati alle imprese per la transizione ambientale e digitale e per Industria 5.0 restino fuori dal conto deficit-debito rilevante per la Commissione Ue. 


Terzo: ciò non significa per l’Italia poter contare su margini di compiacenza se invece sfondiamo deficit e debito “a prescindere”, cioè per misure assunte in conto elettorale invece che parametrate agli effetti su Pil potenziale, reddito e occupazione. Ci siamo fatti già molto male da soli con le follie edilizie. Il governo cambi radicalmente strada, vista la montagna di spesa pubblica su cui sta seduto e mentre cala la propensione a investire delle imprese.           

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