Il dibattito
Così la tassa sugli extraprofitti diventa un ostacolo per l'accesso al credito
Per colpire le banche, il governo rischia invece di colpire cittadini e piccole e medie imprese. La necessità di rivedere la norma al più presto
Il credito alle imprese italiane è da almeno sei mesi in forte diminuzione (quasi -4 per cento su base annua a luglio). L’incremento dei tassi per combattere l’inflazione ha depresso la componente di domanda di credito da parte delle imprese fin da febbraio 2023 e sta iniziando a ridurre anche la domanda di credito da parte delle famiglie.
Mentre i tassi sui prestiti venivano rapidamente aumentati per tener conto degli incrementi del tasso di riferimento della Bce, molte banche italiane non si sono dimostrate particolarmente reattive nell’adeguare anche i tassi sulla raccolta e i depositi, anche quando il governo mandava reiterati e inequivocabili segnali di moral suasion che esortavano a un comportamento sistemico in questa direzione. Di fronte a questa situazione il presidente del Consiglio ha deciso di intervenire, assumendosi la responsabilità di un provvedimento d’urgenza nell’ultimo Cdm di agosto con cui vengono tassati i presunti extraprofitti delle banche derivanti dai ricavi sul margine di interesse.
Purtroppo, l’intervento è stato disegnato all’ultimo minuto in modo piuttosto grossolano. Per due motivi. Per prima cosa a fronte della riluttanza di molte banche a rivedere al rialzo i tassi sui depositi sarebbe stato più appropriato, invece di un intervento di natura fiscale, promuovere un intervento, magari a opera dell’Antitrust, volto a stimolare una maggiore concorrenza sulla raccolta da parte del nostro sistema creditizio. Si è invece optato per una tassa molto mal congegnata. Il secondo motivo è semplice: la tassa in realtà non colpisce i profitti delle banche, colpisce una voce dei ricavi e in particolare il margine di interesse di cui alla voce 30 del conto economico d’esercizio. Nella sostanza il governo è intervenuto inserendo una tassa una tantum sul credito che colpisce anche quelle banche che, pur avendo tempestivamente aumentato i tassi sui depositi, si trovano tassate per il solo fatto di aver dato e persino incrementato il credito all’economia reale. Un effetto piuttosto paradossale in una situazione dell’economia e del credito già di per sé stagnante e in peggioramento congiunturale.
Se si considera poi la mera possibilità (e quindi l’aspettativa) che questo tipo di tassazione una tantum possa essere riproposta anche in futuro, la nuova tassa è già oggi in grado di disincentivare le banche dell’offrire credito. Si rischia così di peggiorare il credit crunch già in atto anche dal lato dell’offerta con conseguenze davvero molto preoccupanti per le condizioni di accesso al credito da parte di molte imprese, soprattutto Pmi.
Se poi a questo intervento di tassazione sul credito si sommano le proposte di legge in materia di riacquisto agevolato di crediti deteriorati nei confronti di famiglie e Pmi ceduti dalle banche per esposizioni – fino a ben 25 milioni di euro – così come sono state presentate da diversi esponenti del partito di maggioranza al governo e che potrebbero essere oggetto di nuova decretazione d’urgenza, il quadro potrebbe farsi persino più tetro per l’accesso al credito nel nostro paese. Si tratta infatti di proposte che nei fatti avrebbero l’effetto di far saltare l’industria della cessione dei crediti deteriorati che da 15 anni a questa parte ha consentito al sistema bancario italiano di assorbire le crisi da Npl che si sono succedute fino a oggi. L’impossibilità di poter gestire e cedere a condizioni di mercato i portafogli di Npl aumenterebbe in un sol colpo il costo del credito a livelli tali da rendere la sua stessa erogazione ancora più difficile.
Anche le proposte di interventi correttivi sulla base imponibile della tassa sugli extraprofitti che sono state avanzate finora – ad esempio quelle tese a depurare dalla voce del margine di interesse l’attività di compravendita dei titoli di stato, o quella sui presiti interbancari – non convincono. Si rischia solo di esacerbare gli effetti sull’offerta di credito perché il loro effetto è quello di far insistere l’onere della tassazione sul mero margine di interesse da attività creditizia rendendo ancora più palese la sua natura di tassa sul credito.
Da una prospettiva di tutela del nostro tessuto imprenditoriale occorre prestare grande attenzione nel garantire la continuità del flusso di credito all’economia reale, per famiglie e Pmi. Si spera che in sede di dibattito parlamentare si trovino soluzioni più ponderate che non contribuiscano a inaridire il necessario flusso di credito. Diversamente si punirebbero le nostre imprese con buona pace dei profitti un po’ meno extra delle banche.
Stefano Firpo
direttore generale Assonime