Lo scaffale di Tria
In Italia ci scordiamo che il “rischio legale” condiziona gli investimenti. Un problema
Chi legifera e chi ha responsabilità di governo dell’economia dimentica spesso che gli investitori cercano una giurisdizione che offre loro i benefici maggiori. Tre riflessioni su cosa può fare la politica
"Il capitale è costituito da due ingredienti di base: una risorsa e la legge. Utilizzo il termine ‘risorsa’ (asset) in senso lato, per connotare qualunque oggetto, rivendicazione, abilità o idea, a prescindere dalla sua forma. Nella loro nuda sostanza, queste risorse non sono altro che un pezzo di terra, un edificio, l’impegno a ricevere un pagamento futuro, l’idea per un nuovo farmaco, una stringa di codice digitale. Per mezzo della giusta codifica legale, queste risorse possono trasformarsi in capitale e di conseguenza creare più facilmente ricchezza per chi le detiene”. La citazione è dal volume di Katharina Pistor, The Code of Capital: How the Law Creates Wealth and Inequality, pubblicato nel 2019 dalla Princeton University Press (in italiano dalla Luiss University Press nel marzo 2021). Katharina Pistor è Professor of Comparative Law alla Columbia University ed è una giurista che indaga, spiegandolo anche ai non giuristi, su come i giuristi, i lawyer, nel corso della storia hanno costruito i codici legali, e i sistemi di effettiva loro applicazione, attraverso i quali il capitale, non solo nei moderni sistemi capitalistici, ha potuto costituirsi nelle sue varie forme ed essere tutelato come produttore di ricchezza e nell’appropriazione di tale ricchezza.
Non si tratta di una verità rivoluzionaria, come non lo è ricordare, sempre citando dallo stesso volume, che “oggi gli imprenditori non hanno bisogno di cercare giustizia a casa propria, e il destino delle loro ricchezze non è più legato alle comunità che si sono lasciati alle spalle (…). Possono codificare il capitale come vogliono, secondo leggi domestiche o straniere, scegliendo le normative di un altro paese o registrando la propria impresa in una giurisdizione che offre loro i benefici maggiori in termini di aliquote fiscali, sgravi o benefit per gli azionisti”.
Ma si tratta di verità che sembrano molto spesso dimenticate da chi legifera e da chi ha responsabilità di governo dell’economia. Sono soprattutto verità che ci inducono ad almeno tre riflessioni. La prima riflessione è quella relativa al perché, quando si va in giro per il mondo per cercare di convincere i detentori di capitali di quante opportunità di investimento ci siano in Italia (è capitato anche a chi scrive), ci si sente molto spesso rispondere che ciò è vero ma che c’è un “rischio legale”. In altri termini, in Italia il “code of capital” è un po’ troppo volubile e di interpretazione incerta, anche da parte di chi è preposto a farlo rispettare.
La seconda riflessione è sul perché, da sempre, la raccomandazione fondamentale della Commissione europea all’Italia è quella di attuare una riforma della giustizia e perché questa richiesta sia anche al centro del Pnrr. Il motivo è che l’economia europea è un’economia capitalistica di mercato e se uno degli obiettivi dell’Unione è realizzare una effettiva “unione dei mercati dei capitali”, come necessaria ad una completa integrazione economica europea, la loro tutela deve essere garantita in modo il più uniforme possibile tra i vari paesi. Evidentemente l’Italia ha ancora una sua anomalia, o almeno questa è la percezione dominante.
La terza riflessione è che alla riforma della giustizia dovrebbero lavorare assieme il ministro della Giustizia e il ministro dell’Economia e delle Finanze in un fruttuoso scambio di idee in cui la riflessione giuridica non può non essere di per sé anche una riflessione economica, in quanto disegno di una struttura economica. E, viceversa, perché assistiamo troppo spesso a provvedimenti economici che mettono in discussione le “codificazioni legali” che determinano il valore del capitale, così creando il contesto per una sua possibile migrazione verso altre “codificazioni”, più solide e più dotate di garanzie e tutele. Anche questo può essere un obiettivo legittimo, purché frutto di scelta consapevole e dichiarata.