Avviso da Francoforte
La Bce dice no al prelievo sugli extraprofitti bancari e avverte: il rischio è sistemico
La presidente dell'istituto di Francorforte mette in fila tutti le criticità dell'imposta voluta dal governo per raccogliere 2,5 miliardi. La lettera al governo
La tassa sugli extraprofitti delle banche è dannosa per l’intera economia del paese e ne mina la stabilità finanziaria. Si potrebbe riassumere così il senso della bocciatura da parte della Banca centrale europea di uno dei provvedimenti più discussi del governo Meloni. Una “tassa giusta”, come l’ha definita il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, pur riconoscendo che è stata comunincata male ed migliorabile nella formulazione. Ma giusta per chi? Per l’esecutivo che in questo modo ottiene risorse per una manovra economica che risente della classica coperta corta? Ma se passassero le modifiche a cui Palazzo Chigi sta lavorando (compresa la deducibilità fiscale) il gettito si ridurrebbe a 1,5 miliardi rispetto all’ultima previsione di 2-2,5 miliardi, secondo le stime di alcuni analisti.
E’ una cifra che non sembra valere il rischio di mettere a repentaglio l’intero sistema economico e produttivo che dai finanziamenti bancari dipende. La tassa sugli extraprofitti, infatti, sarebbe imposta alla vigilia di quella che si annuncia come una fase di arretramento economico che potrebbe mettere sotto pressione gli istituti per l’aumento di insolvenze e crediti deteriorati. I rilievi della Bce, in una lettera firmata dalla presidente, Christine Lagarde, non appaiono come la difesa d’ufficio delle banche (cosa che, legittimamente, fa l’Abi denunciando oltretutto il rischio di incostituzionalità), anche se probabilmente questa è l’interpretazione che tenderà a dare l’anima più populista della maggioranza (e non solo).
Tra le varie osservazioni (a partire dal fatto che “il decreto-legge non è accompagnato da alcuna relazione illustrativa che ne spieghi la ratio”, per arrivare alla richiesta di accompagnare la norma con “un’analisi approfondita delle potenziali conseguenze negative per il settore bancario” passando per i moniti a non utilizzare questi strumenti per risanare il bilancio pubblico a fare attenzione ai rischi di generare incertezza “danneggiando la fiducia degli investitori”), quella su cui più a lungo si sofferma la missiva di Francoforte è proprio il potenziale aumento del rischio di credito in una prospettiva di lungo periodo visto che “tassi di interesse più elevati possono incidere negativamente sulla situazione finanziaria dei beneficiari di prestiti”, vale a dire imprese e cittadini. Difficile immaginare che a sollevare questa obiezione non abbia dato un contributo il responsabile uscente della Vigilanza della Bce, Andrea Enria (al suo posto è stata nominata la tedesca Claudia Buch), che ha caratterizzato il suo mandato proprio per il rigore delle regole sulla solidità patrimoniale delle banche. Rigore spesso trovato eccessivo dagli stessi operatori, che si vorrebbero sentire più liberi di distribuire utili agli azionisti, ma alla fine è risultato un approccio efficace alla luce della crisi delle banche americane ed europee (Credit Suisse) che non seguivano regole di vigilanza tanto stringenti.
Osserva la Bce: “Tali effetti (il rischio credito, ndr) non sono presi in considerazione nel concepire l’imposta straordinaria… E’ opportuno che tali diversi fattori siano debitamente valutati al fine di garantire che gli enti creditizi rimangano in una posizione favorevole per assorbire potenziali perdite future”. Si capisce che l’idea è che le banche debbano mettere fieno in cascina e prepararsi ad affrontare i periodi di crisi che sono dietro l’angolo. E’ praticamente la linea che Enria ha sempre indicato e che, durante e dopo il Covid, è diventata il suo mantra anche a costo di essere inviso ai banchieri europei. Per concludere, la Bce raccomanda al governo italiano di valutare se l’applicazione dell’imposta pone dei rischi per la stabilità finanziaria, se ha il potenziale di compromettere la capacità di tenuta del settore bancario e di causare distorsioni del mercato e, inoltre, di fare in modo che il decreto legge venga accompagnato da un’analisi approfondita delle potenziali conseguenze. Insomma, di fare quello che si doveva fin dall’inizio.
“Sono fiducioso che si troverà una soluzione adeguata” ha commentato Francesco Profumo, presidente della Fondazione Compagnia di San Paolo, grande azionista di Intesa Sanpaolo, mostrandosi tutto sommato meno ostile alla tassa tanto stigmatizzata dall’Abi.