Basta con le politiche di coesione in mano alle regioni. Fitto spiega le Zes
Come fare del Mezzogiorno un’unica grande zona economica speciale al posto degli otto piccoli distretti che costituiscono l’attuale modello messo in opera dal governo Draghi. nel Dl Sud, credito d’imposta fino a 100 milioni per chi investe e autorizzazione unica per avviare un’attività produttiva. restano due grandi questioni aperte
Ci sono almeno tre buoni motivi, secondo il ministro per gli Affari europei, Raffaele Fitto, per fare del Mezzogiorno un’unica grande Zona economica speciale al posto degli otto piccoli distretti che costituiscono l’attuale modello delle Zes messo in opera dal governo Draghi. Un cambio di passo radicale contenuto nel Dl Sud che, almeno sulla carta, lascia stupìti per la sua portata: credito d’imposta fino a 100 milioni per chi investe e autorizzazione unica (al posto delle oltre trenta di solito necessarie) per avviare un’attività produttiva. Una cosa così non si vedeva dai tempi dell’intervento straordinario nel Mezzogiorno, con la differenza che al posto dei fondi a pioggia per le imprese ci sono vantaggi fiscali e burocratici, che poi è quello che si fa normalmente nei paesi europei per incentivare e attrarre investimenti.
“Il governo sta provando a costruire un percorso in discontinuità con le precedenti esperienze e ritiene necessario che vi sia un coordinamento tra le politiche economiche, nazionali, comunitarie e regionali”, ha spiegato Fitto durante un dibattito che si è svolto in Assonime, l’associazione che raggruppa le holding del capitalismo italiano guidata da Stefano Firpo. “La questione della Zes unica va inquadrata in un contesto più ampio di spesa dei fondi strutturali e di attuazione del Pnrr: le verifiche fatte ci dicono che dobbiamo avviare una nuova fase basata su un disegno unico di rilancio del Mezzogiorno”. È stato il primo confronto pubblico a cui il ministro ha accettato di sottoporsi sul Dl Sud che sta suscitando interesse tra gli operatori economici ma anche incertezza visto che di colpo vengono cancellate le otto zone economiche speciali gestite a livello locale da altrettanti commissari e viene costituita una Zes unica gestita direttamente da Palazzo Chigi. Praticamente, un percorso di autonomia differenziata all’incontrario: il potere dello stato in materia di politica economica – con le decisioni relative agli investimenti pubblici ma anche privati – viene accentrato invece che essere decentrato. Ma veniamo alle tre ragioni di questa scelta.
Il punto di partenza è che finora le politiche di coesione affidate dalle regioni non hanno funzionato. “Bisogna prendere atto di questo – dice Fitto – e cito dati della ragioneria generale dello stato: della programmazione europea 2014-2020 è stato speso il 34 per cento. E non abbiamo elementi per pensare che le cose miglioreranno con l’attuale programmazione, né con la spesa dei fondi del Pnrr su cui com’è noto il governo ha avviato una riflessione”. Per Fitto non ha più senso “dare un assegno in bianco alle regioni” mentre ha senso “tenere insieme le cose” cercando di coordinare i vari interventi e i vari piani di spesa. “E poi, è molto più semplice spiegare agli investitori che esiste un’unica grande opportunità rappresentata dal Mezzogiorno piuttosto che tante piccole aree il cui perimetro è anche difficile da determinare”. Fitto è diplomatico ma si riferisce alla tendenza all’allargamento delle attuali Zes che si è registrato in alcune regioni (per esempio, la Calabria) che ha alimentato il sospetto di manovre finalizzate al consenso elettorale. Una terza ragione che ha spinto il governo a rivedere il modello Zes è il costo di mantenimento delle strutture commissariali che è stato stimato dal governo più alto rispetto alla cabina di regia interministeriale e alla “struttura di missione” che da Roma avranno il compito di attuare il piano strategico.
Restano aperte due grandi questioni: basteranno le risorse stanziate per garantire il credito d’imposta alle imprese in tutto il Sud? E come si fa a bypassare tutti gli enti locali, compresi i comuni e le camere di commercio, che rilasciano le autorizzazioni alle imprese? Questioni che implicano un confronto con l’Europa sugli aiuti di stato e la messa in discussione dell’attuale assetto delle funzioni amministrative. Sulla prima Fitto si mostra ottimista perché conta sulla rimodulazione dei fondi europei e sulla flessibilità nella loro spesa che ritiene ormai acquisita a livello europeo. Sulla seconda prende appunti, forse coinvolgere in quale modo i territori e le istituzioni territoriali nella nuova grande sfida della Zes unica non è una cattiva idea.