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l'analisi

Idee non populiste per discutere finalmente di vere spese europee

Nicola Rossi

In questi mesi è tornato di moda il tema della "golden rule". Ma la possibilità di finanziare in disavanzo gli investimenti pubblici contando sulla loro capacità di incidere sulla traiettoria futura del prodotto potenziale in realtà esiste già. E allora perché richiederla a gran voce?

C’è chi pensa che debba riguardare l’intero volume della spesa pubblica in conto capitale. Chi invece ritiene che dovrebbe interessare solo alcune delle voci che compongono quell’aggregato. E chi, infine – in termini certamente più sofisticati – suggerisce che l’applicazione della “golden rule” potrebbe prendere la semplice forma di pesi inferiori all’unità e differenziati per categoria di investimento pubblico al momento del computo delle grandezze di bilancio soggette ai vincoli del Patto di stabilità e crescita. Quale che sia la modalità prescelta, il tema della “golden rule” è tornato di gran moda in questi mesi in cui si ridiscute la struttura delle regole di bilancio europee. Del resto, la logica che sottende la “golden rule” è tanto semplice da apparire incontrovertibile: gli investimenti pubblici netti, determinando un incremento del capitale pubblico, possono condurre ad un incremento del prodotto potenziale e, per questa via, contribuire a migliorare i livelli di benessere delle generazioni future. Il che ne renderebbe fattibile il finanziamento in disavanzo in quanto i maggiori livelli di prodotto consentirebbero di ripagare il nuovo debito contratto e, per altro verso, renderebbe equo il ricorso alle generazioni future.

  

Accantoniamo per un attimo le rilevanti (se non insuperabili) difficoltà connesse alla distinzione fra spesa corrente e spesa in conto capitale in relazione alla loro ricaduta sui tassi di crescita del prodotto potenziale. Difficoltà che nel mondo attuale sono, se possibile, ancora più acute di quanto già non fossero: che peso assegnare all’istruzione o come considerare, per fare un secondo esempio, la componente corrente della spesa per la salute?

 

La prima osservazione che è necessario fare è contenuta nei dati. Fra il 2000 ed il 2023 (prendendo per buone le previsioni della Commissione Europea) i disavanzi pubblici nell’Unione Europea e nell’area dell’euro si sono attestati, in media, in prossimità del 2,8% e 2,9% rispettivamente (del 3,8% in Italia). Al netto degli investimenti pubblici le stesse grandezze sono risultate pari a -0,5% nell’area dell’euro e a -0,2% nell’intera Unione Europea (in altre parole, al netto degli investimenti pubblici si sono registrati marginali avanzi di bilancio, diversamente che in Italia dove si osserva un disavanzo di poco inferiore all’1%). Conclusione: la “golden rule” – e cioè la possibilità di finanziare in disavanzo gli investimenti pubblici contando sulla loro capacità di incidere sulla traiettoria futura del prodotto potenziale – esiste già. È viva e lotta insieme a noi. La regola – intelligente, molto più intelligente dei suoi detrattori – del 3% ha funzionato, nella media del periodo (e dunque prescindendo dagli aspetti ciclici) e senza dover far ricorso a nessun particolare marchingegno, assicurando il finanziamento in disavanzo della spesa pubblica in conto capitale.

 

Il che impone una domanda: se la “golden rule” nei fatti esiste già perché richiederla a gran voce? La risposta è immediata: perché consentire un diverso trattamento delle spese in conto capitale permetterebbe un incremento – i numeri parlano da soli – della spesa corrente. Un incremento finanziato in disavanzo (con buona pace di tutti gli argomenti “buonisti” che solitamente vengono richiamati dai sostenitori della “golden rule”). Chi in Europa si oppone a questi argomenti lo sa bene (e sa bene che cosa ciò implicherebbe nel caso italiano). E francamente è molto difficile dar loro torto.

  

Tutto ciò implica che le grandezze di bilancio debbano necessariamente rimanere quelle attuali e che non vi sia alcun margine di discussione sul punto? No, se si riconosce che la logica sottesa ad una eventuale riconsiderazione delle stesse grandezze deve essere altra da quella che sottende, invece, l’ipotesi della “golden rule”. In una prospettiva che non può che essere quella di un bilancio europeo sempre più adeguato ai compiti crescenti che all’Unione Europea si chiede di svolgere (e in un’ottica che non può che essere quella di cessioni progressive di sovranità bilanciate da una crescente legittimità democratica degli organi dell’Unione) la linea di demarcazione non corre più fra spese in conto corrente e spese in conto capitale (una linea di demarcazione tutta domestica) ma fra spese – correnti o in conto capitale – di interesse europeo e spese – correnti o in conto capitale – di valenza domestica. Ad esempio, gli eventi degli ultimi diciotto mesi hanno imposto all’attenzione di tutti i cittadini europei il tema della difesa comune europea. Un tema che visibilmente travalica i confini degli stati membri e che non può essere limitato da regole di bilancio applicabili a scelte a valenza schiettamente domestica. Lo stesso potrebbe dirsi per le spese – correnti o in conto capitale – legate alla gestione del fenomeno migratorio. Altri esempi – forse non altrettanto cogenti nella attuale congiuntura – sono certamente possibili. Ma solo se cesseremo di pensare all’Europa tenendo la testa dentro i confini italiani.

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