Oltre i numeri. La Nadef ci ricorda che destra e sinistra esistono. Ed è una buona notizia

Nicola Rossi

Se non si è in grado di essere se stessi con una solida maggioranza è difficile aspirare ad altro se non ad essere una semplice testimonianza. Su cosa giudicare il governo in economia

Era pensabile che dal prossimo gennaio si mettesse la parola fine al taglio del cuneo fiscale? Onestamente, no. Era immaginabile che, varata la delega fiscale, non si desse un segnale tangibile in una delle direzioni (la riduzione del numero delle aliquote) intorno a cui ruota la delega stessa? Francamente, no. Era ipotizzabile che, dopo aver posto il tema della demografia al centro dell’azione del governo, non si desse una qualche indicazione in quel senso? Chiaramente, no. Era mai possibile che non si creasse un qualche spazio per i rinnovi dei contratti del settore pubblico? Decisamente, no. Insomma, più si guarda dentro i prevedibili contenuti della prossima legge di bilancio più si arriva alla conclusione che gli stessi – con le ovvie differenze identitarie in tema, per esempio, di fisco o di politiche demografiche – sarebbero stati fatti propri da qualunque, ma proprio da qualunque governo (come vedremo oltre). Tanto più nell’imminenza di un appuntamento elettorale. E qualunque, ma proprio qualunque, governo si sarebbe mosso in direzioni mutatis mutandis non poi così dissimili.

  
E allora perché si è sostenuto che in questo caso si tratterebbe di una direzione di politica di bilancio poco credibile? O tanto poco praticabile da aprire la strada a soluzioni cui si è fatto ricorso in circostanze ben più drammatiche (e non è detto che, anche in quei casi, si sia trattato di soluzioni lungimiranti)? La Nota di Aggiornamento al Documento di Economia e Finanza, finalmente pubblica, consente forse una prima risposta. Accantonando gli esercizi 2020 e 2021 segnati, in misura decisiva, dall’emergenza pandemica può essere utile comparare i contenuti delle Nadef 2022 e 2023 con quelli della corrispondente edizione 2019. Si tratta, in tutti e tre i casi, di Nadef il cui orizzonte triennale prevede tassi di crescita del prodotto nell’intorno dell’1 per cento di Nadef a cui  hanno fatto o faranno seguito manovre di finanza pubblica sotto molti profili comparabili: il taglio del cuneo fiscale era presente nel 2019 come nel 2022, come lo è oggi. Nel 2019 si prevedeva la cancellazione dell’aumento dell’Iva così come oggi si pensa alla revisione della curva delle aliquote Irpef. Del rafforzamento della spending review e della revisione delle spese fiscali si parlava nel 2019 come in questi giorni. Ciò nonostante si tratta di Nadef la cui impostazione di fondo non potrebbe però essere più diversa (come suggerisce la figura), pur tenendo conto delle condizioni che rendono evidentemente molto diversi i primi anni di questo decennio dall’ultimo del decennio precedente. 

  

La figura riporta le differenze fra i valori osservati nell’anno terminale e nell’anno iniziale delle singole Nadef. In tutti i casi le grandezze sono espresse in % del pil 
    

La notizia, infatti, è che destra e sinistra (o, se preferite, centro-destra e centro-sinistra) esistono. La seconda è ben rappresentata dalla Nadef 2019. Una pressione fiscale sostanzialmente stabile (se non leggermente crescente), una spesa pubblica corrente in moderata diminuzione nonostante la consistente riduzione degli oneri per interessi. Risultato: un incremento dell’avanzo primario molto moderato ma più che sufficiente ad accompagnare una significativa riduzione del debito dovuta pressoché interamente al divario fra tasso di crescita e tasso di interesse. La prima è invece espressa piuttosto chiaramente dalle Nadef 2022 e, soprattutto, 2023. Una pressione fiscale in apprezzabile riduzione ed una ancor più incisiva azione di contenimento della spesa corrente in presenza di un incremento consistente degli oneri per interessi. Il tutto per conseguire avanzi primari in significativa crescita necessari al fine di garantire una molto moderata discesa del debito in presenza di tassi di interesse reali tendenzialmente ormai non lontanissimi dal tasso di crescita del prodotto e di un significativo aggiustamento stock-flussi (conseguente alla distribuzione urbi et orbi di bonus che ha segnato la passata legislatura). Al netto dell’impatto della inversione di rotta della politica monetaria e dei suoi effetti sul debito (nonché, come si è detto, dell’effetto ritardato di provvedimenti assunti prima del 2022), la differenza è chiara: a sinistra il “tassare e spendere” sembra essere l’atteggiamento naturale così come si attenderebbero molti elettori orientati a sinistra. A destra, in condizioni per diversi aspetti più complicate, non si rinuncia all’idea di contenere il perimetro dell’operatore pubblico contenendo tanto la pressione fiscale quanto la spesa pubblica e lasciando spazio al settore privato, così come molti elettori di destra riterrebbero ovvio. Il quadro è completato dal fatto che tanto nel 2019 quanto oggi si prevedevano e si prevedono incassi significativi da dismissioni. Rimasti, nel caso del 2019 interamente sulla carta.

   
Il che, allora, spinge a leggere in termini diversi i rischi insiti nella politica di bilancio 2024-2026. Dal punto di vista dei mercati, una strategia di contenimento del debito centrata su avanzi primari ottenuti in primo luogo attraverso una decisa riduzione della spesa dovrebbe essere decisamente apprezzabile (molto più di una affidata in buona misura alle evoluzioni di eventi che sfuggono al controllo dei governi). Il che implica, di conseguenza, che il dubbio possa riguardare non già la strategia di politica economica in sé quanto la capacità della destra italiana di essere se stessa. E’ un dubbio legittimo: negli ultimi decenni i governi di centrodestra non sono mancati ma è difficile ricordare un solo caso in cui abbiano messo in atto linee di politica economica di destra. Difficile in questo senso ricordare discontinuità anche solo apprezzabili nelle strategie di politica economica e certo non per via delle indicazioni della Commissione Europea ma piuttosto per la capacità attrattiva della cultura del “tassa e spendi” nei confronti di qualunque classe politica. Detto in altri termini: se quel che la destra ipotizza non si è mai fatto, come è possibile immaginare che possa essere fatto oggi? Da questo punto di vista la sfida all’attuale maggioranza (ed al presidente del Consiglio) è tanto chiara quanto alta: si tratta di dimostrare che la destra italiana esiste davvero ed è in grado di tradursi in scelte politiche molto difficili ma chiaramente leggibili da parte dell’elettorato. La posta è altrettanto chiara: se non si è in grado di essere se stessi al governo e con una solida maggioranza è piuttosto difficile aspirare ad altro se non ad una semplice (e per la verità anche poco credibile) testimonianza. L’appeal dell’usato sicuro diventerà irresistibile. 

  

Ultimo, ma non meno importante (e già più volte ricordato): contrariamente a quanto accade a sinistra, la piena riuscita della strategia di politica economica della destra poggia sul pieno coinvolgimento del settore privato, sulla sua disponibilità a riempire gli spazi da cui l’operatore pubblico si ritira, sulla capacità della maggioranza di convincerlo a venire allo scoperto. Una recente trasmissione televisiva sulla principale rete pubblica ha, solo qualche giorno fa, affrontato il tema del granchio blu segnalando le opportunità piuttosto che i rischi della progressiva diffusione del crostaceo. Solo poco tempo fa lo stesso argomento avrebbe visto come protagonisti i produttori colpiti dalla sua diffusione e si sarebbe concluso con la inevitabile richiesta di aiuti da parte dello stato. Se non fosse un episodio, la novità non sarebbe piccola. Nelle intenzioni della destra la crescita si fa (o si dovrebbe fare) anche, o forse soprattutto, così.

Di più su questi argomenti: