Il rapporto e il mef
“Btp, incombono nuvole oscure”, lo studio sul futuro dei titoli di stato
Un documento pubblicato da Intesa San Paolo ha mostrato al Ministero dell'Economia uno scenario da brividi: "L’elevato rapporto tra il debito e il pil è un serio elemento di vulnerabilità"
Il titolo è già eloquente: “Btp, incombono nuvole oscure”. E tra le molte analisi sui conti pubblici italiani quella di Intesa Sanpaolo pubblicata il 3 ottobre è accurata. Che arrivi il brutto tempo lo ha già detto la Banca d’Italia nell’audizione in parlamento: “L’elevato rapporto tra il debito e il pil è un serio elemento di vulnerabilità: riduce gli spazi di bilancio per far fronte a possibili futuri choc avversi, espone il paese al rischio di tensioni sui mercati finanziari, aumenta il costo del debito per lo stato, le imprese e le famiglie”, ha spiegato Sergio Nicoletti Altimari, capo del dipartimento Economia e Statistica.
L’agenzia britannica Scope Ratings e quella americana Fitch che pubblicherà la sua valutazione sul debito italiano il 10 novembre (apre le danze tra una settimana esatta Standard & Poor’s), ritengono che la Nadef rappresenti “un significativo allentamento della politica fiscale rispetto agli obiettivi precedenti”. Chiara Manenti che nella direzione studi e ricerche di Intesa Sanpaolo è la stratega dei titoli a reddito fisso, entra negli oscuri meandri dei conti. Il disavanzo di cassa quest’anno è diventato più alto del deficit pubblico in generale e l’anno prossimo è destinato a peggiorare. Non è una novità assoluta, anzi è da qui che si genera il nuovo debito.
Per capire di che cosa stiamo parlando, occorre ricordare che il settore statale è un aggregato più ristretto, comprende il bilancio e la tesoreria, e consente di determinare quel che lo stato centrale ha in cassa, mentre il settore pubblico abbraccia anche le regioni, le province, gli enti sanitari e quelli previdenziali e altri come l’Anas; nel settore pubblico allargato entrano le partecipazioni aziendali (Eni, Enel e le altre). Il fabbisogno di cassa indica la dinamica del debito in corso d’anno e l’impatto sulla liquidità del sistema economico. Nel 2020, in piena pandemia, i due aggregati coincidevano attorno a 159 miliardi di euro, la cassa è migliorata a 67 miliardi nel 2022 quando si sono ridotti i sussidi straordinari, ora al contrario viaggia sui 115 miliardi e arriverà a 134 miliardi nel 2024. Che cosa determina questa impennata? In sostanza, la nuova spesa pubblica corrente nella quale entrano il famigerato Superbonus edilizio e l’insieme di erogazioni monetarie. Troppi bonus, insomma, hanno prodotto un malus.
Di qui a dicembre il Tesoro stima di emettere titoli a medio-lungo termine per 60 miliardi di euro, ma quelli in scadenza ammontano a 72 miliardi. L’incertezza aumenta perché i finanziamenti extra mercato nel periodo gennaio-luglio di quest’anno sono peggiorati. I fondi delle Poste, per esempio, si sono ridotti di 5,2 miliardi, i depositi nel conto del Tesoro sono stati inferiori di 13,4 miliardi, i prestiti dalle istituzioni finanziare sono cresciuti di 9,1 miliardi. Ciò vuol dire che, mentre la Nadef prevede per l’anno prossimo un deficit pubblico generale pari al 4,3 per cento del prodotto lordo, il disavanzo del settore statale sarà del 6,3 per cento, due punti più alto, un divario che si trascinerà anche nel 2025: 5,6 per cento invece di 3,6. Facciamo i conti in valori assoluti: quest’anno si tratta di 115 miliardi, come abbiamo anticipato, invece dei 109 previsti, l’anno prossimo 134 miliardi, anziché 74 e saranno124 al posto di 65 l’anno successivo. La forbice resta nel 2026 (102 e non 56), ma si va troppo in là per ogni ragionevole capacità di previsione. Anche perché, e questa è la nuvola oscura che s’aggiunge alle altre, non c’è più il salvagente della Bce. A Francoforte si sta discutendo come gestire il gonfio portafoglio titoli e nello scenario base ci saranno 40 miliardi in meno che salgono a 66 miliardi nello scenario più rischioso. Chi comprerà dunque i nuovi Btp? I depositi bancari delle famiglie si stanno riducendo per colpa dell’inflazione, anche le riserve bancarie in eccesso sono in discesa. Insomma, le istituzioni finanziarie italiane verrebbero chiamate ad assorbire oltre la metà dell’offerta netta il prossimo anno.
Con l’aggravante che i tassi d’interesse resteranno elevati e con essi rimarrà alto lo spread arrivato alla fatidica quota di 200 punti base (cioè 2 per cento in più rispetto al Bund decennale tedesco). Il Tesoro dovrà correre ai ripari con altre emissioni tipo Btp Valore, avrà assoluto bisogno che entri al più presto la quarta rata del Pnrr, pari a 16,5 miliardi, oltre alla terza rata di 18,5 miliardi appena versata dall’Unione europea, e non sarà ancora sufficiente. Nella peggiore delle previsioni, sottolinea lo studio di Intesa Sanpaolo, bisognerà adottare “una strategia non convenzionale di gestione del debito pubblico” simile a quella utilizzata durante il Covid. Chiara Manenti non vuol insegnare il mestiere al direttore generale del Tesoro, ma Riccardo Barbieri Hermitte dovrà far ricorso non solo a tutta la sua conoscenza tecnica, ma anche a molta immaginazione.