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l'intervista

La cedolare secca non dispiace al Pd. Misiani: “Non è la cosa peggiore della manovra”

Maria Carla Sicilia

Per il M5s è una patrimoniale, per il Pd non va bene perché serve solo a fare cassa. "La cosa che non ci convince è che le maggiori entrate non siano utilizzate a finanziare le politiche abitative, dice il responsabile economico dem

Se per il M5s la cedolare secca al 26 per cento della manovra Meloni è una patrimoniale sulla casa, per il Partito democratico “non è la cosa peggiore di questa legge di Bilancio”. A commentare con il Foglio il testo che da ieri è all’esame del Senato è il responsabile economico del Pd, Antonio Misiani, vicepresidente della commissione Bilancio di Palazzo Madama. Che subito specifica: “Il problema è che così serve solo per fare cassa e questo non va bene”. Sugli affitti brevi e le distorsioni che in alcune città provocano per il mercato immobiliare il Pd si è spesso pronunciato. “Che ci sia un tema di tassazione del mondo che ruota intorno agli affitti brevi è indubbio”, dice Misiani. “La priorità è sicuramente recuperare l’evasione. Poi il governo ha presentato una proposta di revisione anche sulle aliquote che gravano sugli affitti brevi: ne prendiamo atto, ma è una scelta al di fuori di una riforma complessiva”.

Secondo la relazione tecnica allegata al disegno di legge, alzare l’aliquota di cinque punti per gli affitti inferiori al mese e per le seconde case porterebbe nelle casse dello stato un maggiore gettito per 17,6 milioni nel 2025 e 8,8 milioni dal 2026. Un tesoretto più consistente potrebbe arrivare dal recupero dell’evasione. Il governo punta sull’efficacia del codice identificativo nazionale (Cin), rafforzato rispetto alla versione regionale già prevista dal 2019, che servirà per tracciare gli affitti attraverso la registrazione su una piattaforma telematica nazionale. Le stime sono molto approssimative ma secondo il vicepremier Antonio Tajani il Cin potrebbe portare fino a un miliardo nelle casse dello stato. Il punto, ragiona Misiani, è proprio cosa fare con queste risorse. “La cosa che non ci convince è che queste maggiori entrate e, soprattutto, quelle recuperate dall’evasione, finiscano nel calderone indistinto della fiscalità generale. C’è un grande tema non affrontato dalla legge di Bilancio: il rifinanziamento delle politiche abitative a partire dal fondo sociale per l’affitto e dal fondo morosità incolpevole, strumenti che Meloni ha già azzerato nel 2023: ci sono 5 milioni di famiglie che vivono in affitto con tassi di povertà superiore alla media e che non trovano risposta nelle politiche pubbliche”. Su questi aspetti il Pd non esclude emendamenti.

In un ciclo di audizioni con diverse parti sociali iniziato ieri in Senato, la segretaria Elly Schlein ha incontrato anche gli universitari che nei mesi scorsi hanno manifestato con le tende contro il caro affitti. Ma i temi su cui si ragiona per presentare proposte emendative sono diversi, come dimostra l’agenda degli appuntamenti in programma. In particolare tre, dice Misiani. Il primo è la politica dei redditi e la salvaguardia del potere d’acquisto delle famiglie. “L’intervento sul cuneo fiscale va bene ma è transitorio ed è inferiore a quello in vigore perché esclude le tredicesime. Poi però non c’è altro che vada nella direzione del contrasto al caro vita e della difesa dei redditi: per questo torneremo alla carica sul tema del salario minimo”. Il secondo punto sono i servizi essenziali. “La sanità è l’esempio più clamoroso. Ci sono i medici pronti a scioperare per questo intervento iniquo sulle pensioni che riguarda 700mila dipendenti pubblici”. Il terzo punto sono le politiche industriali e per la crescita. “Analizzeremo il testo definitivo ma l’impressione è che la legge di Bilancio sia debolissima sul versante imprese, investimenti e crescita. E questo è ancora più grave in una fase in cui la crescita dell’economia italiana sta rallentando”. Il tentativo del Pd sarà quello di coordinarsi con le altre forze d’opposizione, anche per occupare lo spazio lasciato libero dai partiti della maggioranza stretti nel patto anti emendamenti. Non solo per i punti su cui il dialogo è già avanzato, come salario minimo e Sanità, ma anche su altri fronti. “Su alcuni nodi fondamentali faremo battaglie insieme. Credo che troveremo una sensibilità analoga da parte delle altre forze di opposizione, compreso il M5s, anche sui temi di politica industriale, su cui penso ci sia la possibilità di presentare proposte condivise”, è l’auspicio.

Il limite resta lo spazio fiscale ridotto e l’impianto generale della manovra, che secondo il Pd manca di visione. “Si fa deficit aggiuntivo per finanziare misure che durano un anno come il taglio del cuneo fiscale, la deduzione sulle assunzioni, l’avvio della riforma Irpef”. E su quest’ultimo punto il responsabile economico del Pd avanza qualche dubbio: “Mi chiedo se valga la pena impiegare 4,3 miliardi per un pezzettino di riforma transitoria e non avrà nessun effetto macroeconomico, perché vale in media 14 euro al mese di tasse in meno per 25 milioni di contribuenti. Le riforme fiscali si fanno quando si hanno coperture certe, non in deficit per un solo anno”.

  • Maria Carla Sicilia
  • Nata a Cosenza nel 1988, vive a Roma da più di dieci anni. Ogni anno pensa che andrà via dalla città delle buche e del Colosseo, ma finora ha sempre trovato buoni motivi per restare. Uno di questi è il Foglio, dove ha iniziato a lavorare nel 2017. Oggi si occupa del coordinamento del Foglio.it.