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Dati

Il Pil è fermo ma il lavoro aumenta. Tre spiegazioni possibili

Dario Di Vico

Due ipotesi ottimistiche (“labour hoarding” o “part time involontario”) e una meno: occupazione a bassa produttività

I dati dell’occupazione di settembre ci hanno riservato una sorpresa. Visto il pil fermo del terzo trimestre ’23 ci si poteva anche attendere un passo indietro nel mercato del lavoro con le aziende pronte a liberarsi di manodopera per far fronte al ristagno della domanda e ai rischi di recessione. E comunque poco invogliate ad assumere. Invece il quadro, ancora una volta, è più complicato. Le trasformazioni dell’economia reale italiana e del lavoro seguono percorsi non sempre lineari e sfidano analisti e commentatori a guardarci dentro. E a porsi domande. Ma veniamo ai numeri di ieri: nel mese di settembre 2023 gli occupati sono aumentati di 42 mila unità sul mese precedente raggiungendo alta quota (23,656 milioni). L’incremento è dato in parti uguali (27 mila) da più occupati permanenti e più autonomi, mentre prosegue la discesa dei contratti a termine (-12 mila). Se spostiamo l’occhio dal confronto mese su mese e lo portiamo a esaminare le tabelle trimestre su trimestre sono 80 mila i posti di lavoro in più. Ancora più clamoroso è il confronto anno su anno: l’incremento dei posti di lavoro è stato di 512 mila unità, di cui la stragrande maggioranza (443 mila) posti fissi

Ma – ed è la domanda che sorge spontanea – come è possibile che un’economia come quella italiana che nello stesso periodo ha viaggiato al ritmo di zero virgola di pil possa sfornare più di 500 mila posti di lavoro aggiuntivi e per due terzi a tempo indeterminato? E per di più segni una mobilitazione di chi era restato fuori dal perimetro dei servizi del lavoro visto che a settembre sono calati significativamente gli inattivi (-92 mila) e sono aumentate le persone messesi in cerca del posto (35 mila).

La spiegazione che potremmo definire ottimistica parla di labour hoarding, la tendenza delle aziende a non licenziare i propri dipendenti e anzi a stabilizzare la forza lavoro temporanea, a non lasciarsi scappare “i bravi” e a far fronte alla crisi demografica ingaggiando, ora, le competenze e le braccia che magari serviranno dopo, in una ripartenza ancora da calendarizzare. E questo avviene a scapito per ora dell’utilizzo dei contratti a termine. Insomma le imprese stabilizzano, sostituiscono chi va via ma reclutano a fatica sia persone cosiddette “skillate” sia più prettamente operative. L’area della flessibilità che corrisponde a circa 700 mila contratti di somministrazione resta elevata in termini di stock ma non cresce in quanto a flussi. Dalle agenzie del lavoro le fotografie del mercato del lavoro che arrivano parlano di imprese che ragionano sul capitale umano trimestre per trimestre, temono il 2024 ma per ora non suonano l’allarme. Tengono botta. E infatti anche il settore delle costruzioni non si è liberato della manodopera, si è limitato a rallentare tenendo però aperto il suo ciclo.

L’altra spiegazione sulla totale sfasatura pil/occupazione ci parla in primis delle ore lavorate. Nel secondo trimestre 2023 sappiamo che erano calate per l’appunto le ore lavorate per occupato mentre era proseguita l’espansione del numero di persone occupate, le “teste”. La differenza non è però macroscopica e da sola non spiega il disallineamento di cui sopra se non la probabile e ampia diffusione del part time involontario. Fin qui siamo rimasti nell’ambito di un tradizionale scenario di resilienza, dove i rischi di recessione, le politiche del personale delle imprese e le trasformazioni del mercato del lavoro convivono in un mix inedito ma che non fa emergere particolari rischi, se non quelli legati ovviamente all’evoluzione della congiuntura economica e a un 2024 horribilis

Ma c’è un’altra spiegazione del disallineamento che potrebbe definirsi sistemico e più preoccupante. Quella del delinearsi di un’economia labour intensive caratterizzata però da crescenti posti di lavoro a bassa produttività e a basso costo del lavoro. In quest’interpretazione il serbatoio dei nuovi posti di lavoro sarebbe principalmente quello di servizi low cost come turismo, cura della persona e vigilanza. Un tutti dentro per guadagnare poco, viene da dire. In questo caso da uno scenario resiliente passeremmo a uno patologico. Con l’occupazione che garantisce inclusione, diffonde reddito ma resta incastrata nella trappola della bassa produttività.

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