l'accordo
Tim cede a Kkr la rete fissa per 22 miliardi. Vivendi annuncia battaglia
Il cda respinge l'offerta "alternativa" della cordata Merlyn e sceglie il fondo americano per dare vita a due società. Ma il rischio di un contenzioso legale con i soci francesi getta un'ombra sull'operazione
Se l’offerta “alternativa” della cordata Merlyn per Telecom Italia ha avuto un merito è stato quello di rendere ancora più visibile la fondatezza e la solidità della proposta del fondo americano Kkr a cavallo di un weekend di fuoco al termine del quale, ieri sera, il cda dell’ex monopolista telefonico ha deliberato di cedere la sua rete fissa per un controvalore di 22 miliardi di euro. Al dunque, il sistema Italia ha fatto quadrato intorno all’operazione che salva Tim dalla voragine di oltre 25 miliardi di euro di debito evitando di farsi fuorviare da un gruppo di investitori che si è fatto avanti all’ultimo secondo (Merlyn) tentando (parole testuali) di “invertire la narrazione secondo cui o si vende la rete o Tim fallisce”. Un’idea suggestiva, ma si dà il caso che, alla prova dei fatti, né questa cordata né altri hanno dimostrato di disporre di risorse e mezzi per dare una nuova prospettiva a Telecom come ha fatto Kkr, il quale, dopo una proposta di opa andata a vuoto nel 2022, ha ricostruito con il Mef un rapporto di reciproca fiducia da cui è stata partorita l’operazione approvata ieri sera. Praticamente, quello che non è stato possibile realizzare durante il governo Draghi, si è concretizzato durante l’esecutivo di Giorgia Meloni, sotto la regia di Giancarlo Giorgetti, quando i tempi sono diventati maturi per accettare l’idea che scorporare la rete da Telecom per creare una nuova società con un investitore internazionale, di cui il Mef sarà azionista di minoranza (20 per cento) ma rilevante e in grado di svolgere un ruolo strategico, non è una “svendita” ma un’operazione sensata non solo dal punto di vista finanziario.
La scissione di Tim darà vita a due società: da un lato il business del traffico telefonico e i servizi, su cui continuerà a pesare una quota di debito molto ridotta e sostenibile in rapporto ai ricavi e ai margini prodotti, e dall’altra l’infrastruttura di rete che potrà essere fusa con Open Fiber per creare la rete unica nazionale in cui lo stato italiano avrà voce in capitolo e l’opzione di ricomprarsi l’asset quando il fondo vorrà uscire, nel giro di sette-otto anni.
Il via libera del cda alla cessione della rete a Kkr è stata assunto con 11 voti favorevoli e tre contrari, oltre le più rosee aspettative, fissando un punto fondamentale: la decisione non dovrà passare né per il voto di un’assemblea (né straordinaria né ordinaria) poiché operazione non comporta la modifica dello statuto sociale. Un esercito di advisor finanziari e legali ha sostenuto il consiglio di Tim in questa scelta che, però, potrà essere contestata dalla francese Vivendi, primo socio di Telecom, che si è sempre opposto alla cessione della rete senza mai esprimere un piano o una soluzione diversa se non quella di un rinnovamento del management. Vivendi, con un comunicato da Parigi diffuso subito dopo il termine del cda di Tim ha fatto sapere, infatti, che “userà ogni mezzo legale a sua disposizione per contrastare la decisione e tutelare i suoi diritti e quelli di tutti gli azionisti”. Se all’orizzonte si vede un rischio per questa delicata partita è, come ha sottolineato da più d’un analista, quello dell’apertura di un contenzioso legale e nessuno è in grado in queste ore di dire quanto potrà pesare sul funzionamento di tutta l’operazione.