Il costo del ritardo
Opere pubbliche in Italia, un modello “fondato sull'errore”
I progetti delle infrastrutture sono pieni di “rilievi” e “non conformità”. Il Pnrr è la sfida per cambiare sistema. I dati del report Conforma
L’assenza o la carenza di progettazione si dice sia uno dei grandi mali nazionali. Certamente è il principale vulnus della fabbrica delle opere pubbliche, dove la “centralità del progetto” e soprattutto del progetto “fatto bene” è una chimera buona per i politici che inseguono slogan e consenso, ma raramente si è trasformato in fatti (unica eccezione forse il ponte San Giorgio di Genova, mentre anche l’opera infrastrutturale più importante realizzata negli ultimi 50 anni, l’Alta velocità ferroviaria ha avuto una storia progettuale durata oltre un ventennio). Ora abbiamo per la prima volta un dato oggettivo per dire quanto sia travagliato (e pieno di falle) il percorso della progettazione di opere pubbliche in Italia. Un rapporto elaborato da Conforma, l’associazione degli organismi di certificazione e verifica dei progetti, dice che su 537 progetti sottoposti a verifica preventiva nel 2022, per un importo di lavori pari a 8.564 milioni di euro, il numero di “rilievi” registrati, è stato di 78.240 (146 per ogni progetto). E di questi il 75 per cento, vale a dire 58.305, è stato classificato come “non conformità”, a segnalare scostamenti seri o rispetto a leggi e regolamenti (anche relative alla sicurezza) o a prescrizioni tecniche o alla missione attribuita dall’amministrazione committente al progetto. Soprattutto, la fotografia scattata dal rapporto segnala una voragine fra gli obiettivi programmatici/progettuali dell’opera e il percorso per trasformarli in realtà.
Il rapporto, che sarà presentato oggi a Roma durante un dibattito sugli strumenti di verifica progettuale nell’ambito del nuovo codice degli appalti, sposa ovviamente la tesi dell’associazione che lo promuove: la verifica progettuale preventiva realizzata da un soggetto terzo (questo è il particolare decisivo) rispetto sia all’amministrazione committente che ai progettisti e agli appaltatori, se fosse estesa obbligatoriamente a tutte le fasi del progetto, consentirebbe di evitare migliaia di errori che comportano ritardi nella realizzazione dell’opera e varianti progettuali o in corso d’opera che comportano, dopo l’approvazione e l’apertura del cantieri, aumenti dei costi. Accennavamo al ponte San Giorgio di Genova, ma è stata proprio l’adozione della verifica progettuale – insieme ai sistemi di sensoristica innovativi – a consentire a quell’opera correzioni e aggiustamenti in corso di progettazione che le hanno evitato falle gravi e ritardi che sarebbero risultati in quel contesto inaccettabili.
Interessante anche lo spaccato settoriale del rapporto Conforma. Le infrastrutture di trasporto presentano una media di 112 rilievi per ciascun progetto, ma si va dai 77 rilievi per le infrastrutture portuali ai 92 per quelle stradali ai 99 per gli aeroporti (che hanno il più alto tasso di “non conformità”: 84 per cento) fino ai 286 delle infrastrutture ferroviarie che hanno anche la media in assoluto più alta delle “non conformità” con 220 per progetto. Ma le infrastrutture hanno addirittura percentuali di rilievi e di “non conformità” più basse di quella di altri settori come l’edilizia (157 rilievi e 116 “non conformità” a progetto), gli impianti (188 rilievi a progetto), l’ambiente (140 rilievi a progetti). Fra le categorie di edifici, quelli religiosi, culturali e sportivi scontano i tassi di rilievi e di “non conformità” più alti (rispettivamente 236 e 189 per progetto), mentre fra gli impianti sono quelli a rete (acquedotti, fognature e gasdotti) con 216 rilievi a progetto. In materia ambientale, infine, i rilievi maggiori si registrano nelle sistemazioni paesaggistiche e naturalistiche (165).
E’ stato il Cresme, l’istituto di ricerca più attento al settore delle opere pubbliche in Italia (cura il rapporto della Camera), a rappresentare per primo, alcuni anni fa, il mercato dei lavori pubblici come modello realizzativo “fondato sull’errore”, nel senso che proprio la presenza di gravi errori progettuali poteva consentire l’assurda dinamica di grandi ribassi d’asta (non di rado fino al 30-40 per cento) poi corretti con varianti “in corso d’opera” che garantivano il recupero dei costi alle imprese appaltatrici, a prezzo di ritardi gravissimi (generati dalle fasi di contenzioso o anche semplicemente di duro confronto) e falle nei conti dello stato finanziatore (il costo della dorsale appenninica dell’Alta velocità è aumentato sei volte dai primi preventivi del 1991 alla fine).
Oggi, soprattutto grazie al Pnrr e al primo decreto semplificazioni del governo Draghi (dl 77/2021), siamo lontani dai tempi bui del modello “fondato sull’errore”: si impiegavano dai dodici ai 24 mesi per aprire il cantiere dopo la gara, ora siamo a tre mesi; i ribassi a due cifre non si vedono più; il codice degli appalti ha consolidato una situazione di mercato più fisiologica in termini di prezzi e di tempi; l’elevata domanda di opere pubbliche, indotta prevalentemente dal Pnrr ma già in atto nei due anni precedenti al 2021, rende meno nervoso il mercato e facilita la ricerca di soluzioni. Anche il fenomeno che ha rischiato di far deragliare questo settore economico – l’aumento vertiginoso dei costi dei materiali di costruzione prima e dell’energia poi – è stato assorbito grazie alle misure di compensazione e revisione prezzi (un po’ tardive ma davvero essenziali) messe in campo dal governo Draghi e confermate dal governo Meloni.
Il periodo peggiore dei lavori pubblici è lontano ma è presto per dire se sia alle spalle per sempre. Abbiamo vissuto – e speriamo di continuare a vivere fino al 2026 – tempi straordinari alimentati dal Pnrr, ma non è detto che le virtù (e qualche difetto come l’eccesso di affidamenti senza gara) portate dal Pnrr e consolidate dal codice degli appalti durino anche dopo questa straordinarietà. Questo era l’auspicio iniziale del Recovery plan e dell’Unione europea di Ursula von der Leyen che lo ha pensato e finanziato, ma la durabilità degli effetti delle riforme di questi anni sarà l’oggetto dell’Osservatorio che dovremo aprire da qui al 2026, a condizione che le riforme (e gli investimenti) si completino davvero e si consolidino.
Anche perché, come il Pnrr draghiano ha intuito, riforme e investimenti hanno lo scopo fondamentale di traghettarci in un mondo in cui la dimensione digitale (oltre a quella della sostenibilità ambientale) dovrebbe garantirci il salto di produttività che manca in Italia da 20 anni. Il mondo delle opere pubbliche è una perfetta cartina di tornasole degli effetti che produrrà questa sfida. Oltre alla verifica preventiva obbligatoria dei progetti auspicata dal rapporto Conforma – nel codice degli appalti ce n’è soltanto un pezzetto ma si potrebbe fare certamente di più e meglio – l’altro strumento per abbattere il “modello costruito sull’errore” si chiama Bim (Building information modeling), il sistema di progettazione digitale che dice ben prima dell’apertura del cantiere quali potrebbero essere gli errori progettuali nel disegno dell’opera, nella catena produttiva e logistica che la supporta, nella manutenzione di cui avrà bisogno, nel modo in cui funzionerà l’opera e il servizio che fornirà agli utenti. In Europa non si progetta più senza il Bim, in Italia i casi di opere pubbliche in cui è stato adottato e ha funzionato davvero sono meno di una decina.
Con questo articolo Giorgio Santilli inizia la sua collaborazione con il Foglio.