l'intervista
“Così l'Italia e l'Europa decidono la fine dell'acciaio”. Parla Gozzi
Il presidente di Federacciai: "Nell’Unione ci si è occupati di regolamenti, decarbonizzazione e climate change, ma è in atto una deindutrializzazione europea, basta vedere cosa succede sull’automotive"
Antonio Gozzi, presidente di Federacciai, ha lanciato l’allarme rispetto a un provvedimento del governo tedesco annunciato da Scholz, che azzera gli oneri fiscali sulle bollette per le industrie con uno stanziamento di 12 miliardi di euro l’anno per cinque anni, e per quelle energivore porta il prezzo dell’energia a 70 euro al MWh. I francesi la pagano 42 euro fino alla fine del 2025, per poi portarla a 70 euro come la Germania. Si sta configurando una tariffa dell’energia francotedesca a 70 euro, mentre gli italiani la pagano 120 euro. “Questo conferma da una parte che l’Europa non è stata in grado di fare una politica comune dell’energia e dall’altro che questi aiuti di Francia e Germania creano asimmetrie competitive che distruggono il mercato unico e creano una competizione sleale”, dice Gozzi. Federacciai chiede che vengano subito varate le misure in gestazione da mesi su electricity release (un fascio di energia rinnovabile a prezzo calmierato in cambio dell’impegno degli energivori a realizzare investimenti nelle rinnovabili) e sul gas release (rilascio di un miliardo di metri cubi di gas dell’Adriatico alle imprese energivore a un prezzo industriale), finite nel maxi dl Energia bloccato a causa dell’impasse sulle concessione idroelettriche e sulla fine della “maggior tutela”. Anche sulla CO2 la Germania si è fatta autorizzare dall’Unione europea 3 miliardi all’anno di compensazioni Ets, mentre il governo italiano dà alle imprese solo 150 milioni. “Qui i soldi ci sono – spiega Gozzi – perché abbiamo proventi per 3 miliardi, ma una vecchia legge Tremonti dice che la metà deve andare a coprire il debito pubblico”, mentre secondo la normativa europea dovrebbero tornare alle imprese. “Ma anche mantenendola, abbiamo 1,5 miliardi che è dieci volte i 150 milioni che ci danno”. Insomma, secondo Federacciai “ci sono una serie di norme che sono conformi alla normativa europea ma esigono una volontà politica di occuparsi di industria e di manifattura da parte del nostro governo”.
E poi c’è l’Europa. “Contrariamente a tutte le aree economiche del mondo in cui l’industria è al centro dell’attenzione, nell’Unione ci si è occupati di regolamenti, decarbonizzazione e climate change, ma è in atto una deindutrializzazione europea, basta vedere cosa succede sull’automotive”. Dal 2026 con la fine delle quote Ets saremo costretti a spegnere tutti gli altoforni. Gozzi spiega che trasformare un milione di tonnellate di acciaio a carbone in elettrico costa un miliardo. In Europa 90 milioni di acciaio sono a carbone, per riconvertirne la metà ci voglio 50 miliardi, e non c’è un fondo per questo. “L’Europa sta dicendo che l’acciaio non è un bene primario e questa è follia pura”. Senza considerare che ogni migliaio di tonnellata elettrica comporta duemila addetti in meno del carbone, ma anche questo non sembra interessare a nessuno. “Con un prezzo della CO2 a 100 euro per ogni tonnellata di acciaio bisogna spendere 200 milioni d euro.
Taranto dovrebbe spendere 800 milioni, vuol dire che chiude se non cambiano le regole”. In Italia siamo i primi nel continente per acciaio decarbonizzato: 20 milioni su 24 sono da forno elettrico, ma bisogna controllare prezzo dell’energia e rottame. “Non ci sarà rottame per tutti, per questo stiamo andando a realizzare impianti Dri (preridotto di ferro) in Algeria, Egitto e Brasile, perché siamo spaventati del fatto che un paese che è già a corto di rottame come l’Italia lo diventerà ancor di più se l’ Europa imporrà la trasformazione degli altoforni in elettrico a rottame”. E un impianto di dri in Italia? “Qui c’è il tema del prezzo del gas – dice Gozzi –. Per fare due milioni e mezzo di dri, che è la taglia classica degli imitanti, ci vogliono 900 milioni di metri cubi di gas. Tutto il gas release è un miliardo, servirebbe per un solo impianto di dri. E molto più logico istallare questi impianti in paesi con grande disponibilità di gas”.
E se lo fa Dri d’Italia, l’azienda di Invitalia che ha questo scopo? “Eni non è che può regalare gas ad un’azienda pubblica, sono aiuti di stato”. Il ministro delle Imprese Adolfo Urso ieri è tornato ad annunciare un piano nazionale per la siderurgia, è la volta buona? “Per noi è sconosciuto. Ne ho sentito parlare ma non so dove sia di casa. Vedo solo mosse che mi preoccupano sui due grandi punti di crisi che sono Taranto e Piombino. Se i gruppi esteri fanno investimenti in Italia, stendiamo un tappeto rosso. Ma se vengono per ciucciare soldi dello stato e fare competizione sleale alle imprese italiane, siamo in guerra. Noi acciaieri italiani abbiamo investito due miliardi senza chiedere un euro allo stato”.