si fa presto a rivendicare
Rivendicazioni & contraddizioni: che cosa vogliono Cgil e Uil con lo sciopero
I sindacati chiedono aumenti di stipendi e pensioni ma non dicono i costi. Punto per punto, la piattaforma sindacale alla base della mobilitazione di venerdì
Quanto costa questa piattaforma sindacale onnicomprensiva, alla base dello sciopero di venerdì? Qual è l’onere per il bilancio pubblico, cioè per tutti i contribuenti, quelli che le tasse le pagano? A quel che risulta né la Cgil né la Uil hanno fornito cifre. Del resto, alcune delle loro richieste sono tali che sarebbe davvero difficile calcolarne l’impatto sulla legge di Bilancio per il 2024. Pensioni, salari, fisco implicano una ricaduta almeno di medio periodo, con un vero effetto moltiplicatore, anno dopo anno. Un tempo la compatibilità era entrata nella cultura sindacale non senza scontri e contraddizioni, chi ha una certa età ricorda le lacerazioni degli anni 70 attorno a quella che venne chiamata “la svolta dell’Eur”. Oggi prevale un rivendicazionismo a tutto azimut, come dicono i francesi. Non si parla di ridurre le spese definite improduttive, non si parla di spostare l’equilibrio del bilancio pubblico dai sostegni assistenziali agli investimenti, non si parla di crescita, come se fosse un fatto scontato e non una conquista continua.
Ma della piattaforma ci colpiscono anche alcune contraddizioni evidenti: sulla difesa dell’assistenzialismo essa sta con il governo, sulle pensioni sta con la Lega, sul protezionismo e sul nuovo statalismo è d’accordo con Palazzo Chigi. Sarebbe paradossale, al limite dell’assurdo, se non fosse il segno di quanto abbia scavato la vecchia talpa del populismo. Ma entriamo nel merito punto per punto.
Lavoro. Aumentare stipendi e pensioni; rinnovare i contratti nazionali rafforzando il potere d’acquisto e detassando gli aumenti; abbattere i divari che colpiscono le donne.
Curioso, detassare gli aumenti salariali è quel che voleva Maurizio Leo: “Paga meno chi lavora di più e meglio” era lo slogan adottato da Fratelli d’Italia. Aveva escogitato un meccanismo complicato, ma interessante, quando è diventato viceministro ha scoperto che non ci sono le risorse. Il rischio inoltre è che entri in contraddizione con la riforma del fisco, la quale deve semplificare il sistema, riducendo eccezioni, deduzioni e scappatoie varie. La proposta Leo aveva un caposaldo: premiare l’aumento di produttività. Ed è proprio quel che manca nella piattaforma Cgil-Uil. Tanto più grave in quanto a scioperare sono le categorie dei servizi, là dove s’annida il deficit di produttività che allontana l’Italia dal resto d’Europa. Non c’è aria di riformare la contrattazione. Nessun pensamento (per non parlar di ripensamento) attorno all’architettura contrattuale. Secondo il Cnel sono mille e 37 i contratti tra pubblici e privati, sottoscritti anche da un pulviscolo di sindacati e sindacatini. Quanti sono i lavoratori dipendenti coperti? Lo stesso salario minimo avrebbe gambe più concrete se, invece di essere uno slogan, fosse messo in relazione a questa riforma complessiva del rapporto di lavoro.
Fisco. Combattere l’evasione fiscale: basta sanatorie, basta condoni e basta premiare settori economici che presentano una propensione all’evasione fino al 70 per cento; indicizzazione automatica all’inflazione delle detrazioni da lavoro e da pensione; promuovere un fisco progressivo: no alla flat tax; riportare all’interno della base imponibile Irpef tutti i redditi oggi esclusi e tassati separatamente con aliquote più basse; tassare gli extraprofitti e le grandi ricchezze.
La Banca d’Italia dice che taglio del cuneo fiscale e revisione Irpef daranno in media 600 euro in più l’anno alle famiglie. E’ poco? Certo non è sufficiente, ma si poteva fare di più solo trovando più risorse altrove. Dove? Il governo non lo sa, i sindacati se lo sanno non lo dicono. Tuttavia, attaccare le misure fiscali contenute nella legge di Bilancio perché favoriscono i ceti medio-alti è una falsità propagandistica. La riduzione delle aliquote incide sui redditi fino a 28 mila euro l’anno, non oltre, quindi là dove si colloca il 42 per cento dei contribuenti Irpef, i ceti medio-bassi che pagano appena l’1,7 per cento dell’ammontare totale dell’imposta sul reddito, il resto viene soprattutto dai ceti medio-alti. Come si fa a rendere il sistema ancor più che progressivo? I ricchi di riffa o di raffa contribuiscono meno degli altri? Non per le aliquote, semmai per la giungla di scappatoie legali, o quasi. Pagare meno pagare tutti dovrebbe essere lo slogan. Invece si preferisce declinare il mantra sulla lotta all’evasione che tutti abbiamo sentito da quando avevamo i calzoni corti. I lavoratori dipendenti hanno ragione a protestare: le detrazioni alla fonte sono un meccanismo micidiale e ai limiti della costituzionalità, anche perché discriminano a favore di altre categorie che hanno maggior facilità di sfuggire. Per loro si preparano condoni e sanatorie. È ora di finirla, d’accordo; tuttavia questo squilibrio di fondo va colmato all’interno di una riforma organica del fisco che il governo ha promesso, ma non è in grado, finora, di realizzare. Con il rischio che finisca come la riforma della giustizia. Nella piattaforma sindacale rispunta persino una scala mobile, sia pure più limitata, una scaletta che favorisce le detrazioni, ma finisce per rilanciare l’inflazione. Senza contare che renderebbe più fitta la giungla fiscale, quindi meno trasparente e più iniqua la tassazione.
Giovani. Favorire il lavoro stabile a tempo indeterminato; cancellare la precariet̀à; introdurre una pensione contributiva di garanzia; garantire il diritto allo studio attraverso investimenti per servizi, alloggi e borse di studio.
Il Jobs act è la legge che ha più favorito l’occupazione dei giovani. In Italia ci sono 15 milioni di contratti a tempo indeterminato e 3 milioni a tempo determinato. Secondo l’Istat dal 2014 alla fine del 2016 gli occupati sono aumentati di 900 mila. Ma l’effetto non si è concluso con la caduta del governo Renzi. L’abolizione dell’articolo 18 non ha aumentato la disoccupazione né si è risolto in una “macelleria sociale”. Nonostante la pandemia oggi ci sono un milione 782 mila posti di lavoro in più, la maggior parte a tempo indeterminato. In totale, dal marzo 2014 al giugno 2023 gli occupati in Italia sono passati da 21 milioni e 808 mila a 23 milioni e 590 mila. E la crescita continua ancora nonostante la frenata dell’economia: tra novembre dello scorso anno e oggi c’è stato un aumento del 12,6 per cento, con una punta del 14,3 nei servizi. Le imprese prevedono 430 mila nuove assunzioni proprio in questo mese. Il problema non è irrigidire il mercato, ma far funzionare i meccanismi che rendono più facile l’incontro tra domanda e offerta. Diritto allo studio, pensioni di garanzia, tutte cose buone se si riesce a finanziarle, e anche per questo bisogna favorire in ogni modo la crescita del pil. Quel che la piattaforma ignora.
Pensioni. Approvare una vera riforma delle pensioni, che superi la legge Monti-Fornero; garantire la piena tutela del potere d’acquisto delle pensioni in essere.
È il paradosso dei paradossi. La Cgil e la Uil sulle pensioni sono d’accordo con Matteo Salvini, quello che voleva (e vuole ancora) “seppellire la Fornero”. Non si sfugge alla tagliola demografica, ma l’invecchiamento della popolazione non viene considerato un dato di fatto. Cgil, Uil e Salvini pensano che sia un inganno statistico se non proprio una falsa notizia, quindi bisogna reagire continuando a mandare in pensione i lavoratori il prima possibile. Non ci sono le risorse e si pasticcia pur di tenere il punto, di piantare la bandierina. Il balletto su Quota 103 disincentivata o Quota 104 incentivata è degno di un vaudeville.
Stato sociale. Difendere e rilanciare il Servizio sanitario nazionale anche aumentando i livelli salariali; approvare un piano straordinario di assunzioni nella sanità e in tutti i settori pubblici e della conoscenza; finanziare le leggi su non autosufficienza e disabilità; aumentare le risorse per il trasporto pubblico locale; rifinanziare il fondo sostegno agli affitti.
Sulla sanità la Corte dei conti dà ragione ai sindacati, le risorse sono insufficienti. Ma per fare cosa? Una riforma non è stata messa in cantiere nemmeno dal governo Draghi. Il tutto pubblico non funziona più in nessun paese. Le liste d’attesa in Svezia sono più lunghe di quelle degli ospedali italiani. Per non parlare della disastrosa situazione del servizio nazionale britannico al quale l’Italia si è ispirata. Migliore è la situazione in paesi come la Francia che hanno saputo accoppiare sistema pubblico e privato rispettando il diritto alla salute e l’universalità del sistema. Ma non parlate di settore privato a Maurizio Landini se volete evitargli un coccolone.
Salute e sicurezza. Investire su salute e sicurezza: basta morti sul lavoro.
Come si può non essere d’accordo? Lo ha detto anche il presidente della Repubblica, ma attenti al giustizialismo. La ricerca dei responsabili diventa la caccia al capro espiatorio che si trova sempre ai vertici dell’impresa, nelle posizioni apicali, nel capo dei capi che “non poteva non sapere”. Una ricerca che poco ha a che fare con il codice e ancor meno con la giustizia se intesa come contraria alla legge del taglione. Gli esempi non mancano: Impregilo, Krupp, l’incidente ferroviario di Viareggio, tra gli altri. Invece di accertare i fatti, acquisire le prove, identificare le responsabilità specifiche prima di stabilire la colpa e comminare la pena, la ricerca del mandante diventa una sorta di gambizzazione in carta bollata.
Politiche per l’accoglienza. Abbandonare la politica securitaria a partire dalla cancellazione della legge Bossi-Fini e di tutti i recenti provvedimenti in materia di immigrazione e definire nuove politiche di accoglienza e integrazione dei cittadini migranti.
“Securitario”, suona come una bestemmia. La sicurezza non fa bene anche ai ferrovieri? Chiedetelo a chi ogni giorno sta sui treni. Servono più immigrati regolari e meno irregolari. Su questo Cgil e Uil non sono chiari. Il governo ha deciso di accogliere 450 mila migranti in tre anni, sono pochi, ce ne vogliono di più come sostengono le associazioni degli imprenditori? I sindacati hanno negato a lungo che in Italia ci sia una carenza di forza lavoro nazionale per la paura di una concorrenza che avrebbe abbassato i salari. Prima gli italiani. Anche loro, di nuovo con Salvini.
Politiche industriali. Serve una nuova strategia e un nuovo intervento pubblico per affrontare le crisi vecchie e nuove, puntare sulla transizione ambientale ed energetica, riconvertire e innovare il nostro sistema produttivo governando i processi di digitalizzazione, difendere e incrementare la qualità e la quantità dell’occupazione a partire dal Mezzogiorno.
Sul primo punto non si capisce perché Cgil e Uil protestino, il governo non lesina certo “nuovi” interventi pubblici. Sulla transizione c’è la maggior contraddizione. Governare i processi? Vuol dire difendere tutto e tutti o accompagnare la inevitabile, non solo necessaria ristrutturazione con politiche sociali ben calibrate? Resta aperto il quesito su come finanziare una cassa integrazione già spalmata a dismisura. Tutti la vogliono, tutti la chiedono, nessuno vuole pagarla. L’alternativa è pensare a un sistema che tenga conto delle nuove condizioni del mercato del lavoro. Ma allora torniamo alle caselle di partenza e la piattaforma sindacale finisce per diventare un eterno gioco dell’oca. Sentiamo già salire l’obiezione: i sindacati rivendicano non governano.
Vero, a ciascuno il suo, divisione dei poteri e delle funzioni, pilastro della liberal-democrazia. Ma rivendicare l’impossibile significa illudere chi paga la tessera e vuole che i suoi legittimi interessi siano tutelati con risultati concreti. Se no, invece che a un sindacato avrebbero aderito a un partito. O forse è proprio quel che sta accadendo in Italia: la caduta della distinzione tra partito e sindacato, la concorrenza tra Maurizio Landini ed Elly Schlein su chi conquista le piazze, le solite piazze, sempre le stesse? Basta così, stiamo andando anche noi fuori tema.