Operazione verità

Chi ha guadagnato davvero con il Superbonus? Uno studio in anteprima

Giorgio Santillli

L'analisi del Cresme sfata il luogo comune che si sia trattato di una “overdose per l’edilizia”: al settore costruzioni è andato soltanto il 21,8% degli incentivi. La quota più consistente, il 34%, è tornata allo Stato con un maggiore introito di Iva, Ires e Irpef dei lavoratori

Perché il Superbonus ha avuto per un lungo periodo un grande successo nella società italiana e in Parlamento e a nulla sono valsi gli allarmi per l’impatto sui conti pubblici provenienti dal Mef? Parliamo della fase precedente all’arrivo di Giancarlo Giorgetti a Via venti settembre e alla sua operazione-verità, fatta l’11 novembre 2022 in Parlamento, quando denunciò un buco nel bilancio statale che allora era di 37.8 miliardi: in quei 30 mesi successivi al maggio 2020 anche Salvini e Meloni erano in campo per la proroga e la difesa dell’incentivo.

 

Una risposta inedita ce la dà Cresme Daily, newsletter quotidiana di economia del Centro di ricerche economiche, sociologiche e di mercato per l’edilizia, oggi al suo primo numero, firmato dal direttore dell’istituto di ricerca, Lorenzo Bellicini, che ha analizzato – su dati dell’Agenzia delle Entrate, di Enea e del Mite (oggi Mase) – i settori di destinazione dell’incentivo. A chi sono andati i 97 miliardi di euro di incentivi maturati fra il 31 agosto 2021 e il 30 settembre 2023? Chi ha lavorato e ha spinto il fatturato con il Superbonus? La risposta è piuttosto sorprendente. 

 

Al settore delle costruzioni, che viene generalmente considerato il grande (se non il solo) beneficiario del maxincentivo è rimasto soltanto il 21,8% del totale (21,1 miliardi). Ai servizi è andato il 26% diviso in due parti uguali (12,6 miliardi) fra i servizi di progettazione (qui sono comprese anche le piattaforme messe in piedi dalle grandi società di consulenza) e i servizi bancari e di intermediazione finanziaria. 

 

Un altro 18,2% (17,7 miliardi) è andato all’industria manifatturiera, in particolare quella che produce e distribuisce i materiali per la costruzione. La quota più consistente, il 34%, però, è tornata allo Stato con un maggiore introito di Iva, Ires e Irpef dei lavoratori (la stima è convergente con quella fatta dal Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e più prudente di altre stime fatte nel mondo dell’edilizia).

 

I 12,6 miliardi andati a banche e intermediari finanziari sono un dato prudenziale, comunque più alto di quel 10% inizialmente previsto, in quanto “man mano che la cessione dei crediti acquisiti è diventata più difficile, questa percentuale è salita di molto”.

 

“E’ innegabile – scrive Bellicini – che si sia trattato di una manovra certo eccessiva nelle dimensioni e soprattutto nei tempi di utilizzo. Troppo per troppo poco tempo, si potrebbe sintetizzare. D’altro lato anche negli obiettivi, nelle performance da raggiungere si poteva fare molto meglio”. Ma l’obiettivo del Cresme qui è sfatare il luogo comune che si sia trattato di una “overdose per l’edilizia”: distribuendo le risorse “lungo la filiera sintetica degli utilizzatori, sulla base delle conoscenze di cosa è successo nel mercato” vengono fuori tutti gli altri beneficiari dell’operazione 110%.

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