L'analisi
Perché il compromesso sui balneari è una toppa peggiore del buco
L'Italia continua a temporeggiare sulla riforma delle concessioni e il rischio di uno sconto con l'Unione Europea è dietro l'angolo: ecco un'alternativa
La politica attuata dal governo, nell’ultimo anno, sull’annosa questione delle concessioni del demanio marittimo è stata poco lungimirante. Ha proseguito sulla linea della proroga delle concessioni, malgrado le sentenze dei giudici europei e nazionali che l’hanno ritenuto illegittima e i fondati rilievi del Presidente della Repubblica. Se il governo proseguisse su questa strada, il rischio di uno scontro con la Commissione europea – che ha già aperto una procedura d’infrazione – sarebbe molto elevato.
Di qui l’idea d’una soluzione alternativa. Si tratta di sfruttare la possibilità di non bandire gare per l’affidamento delle concessioni se le risorse naturali, in questo caso le spiagge, non sono scarse. Questa possibilità è stata prevista dalla direttiva Bolkenstein del 2006. È stata confermata dalla Corte di giustizia in una sentenza della scorsa primavera, sia pure ad alcune condizioni. Agli occhi di vari esponenti della maggioranza, quindi, si tratta della soluzione ideale. Sulla base della rilevazione effettuata in sede tecnica, da cui emergerebbe che soltanto un terzo delle spiagge italiane è dato in concessione, si potrebbero evitare le gare per le concessioni già assegnate. Basterebbe adottare una disposizione legislativa, anche inserendo un’apposita disposizione in un decreto-legge.
Questa soluzione ha, però, almeno due punti deboli. Il primo è che non tiene conto delle condizioni, ribadite dalla Corte di giustizia, in presenza delle quali si può affermare che le risorse naturali utilizzabili non sono scarse. Da un lato, bisogna utilizzare “criteri obiettivi, non discriminatori, trasparenti e proporzionati”. Quindi, le decisioni che il governo prenderà devono essere ben proporzionate, oltre che suffragate da dati. Dall’altro lato, a questo approccio generale a livello nazionale deve seguire “un approccio caso per caso, basato su un’analisi del territorio costiero” di ogni comune. Non sarà facile, quindi, escludere la necessità delle gare in alcune località balneari dove le coste sono interamente gestite tramite concessioni. L’altro punto debole è che, secondo la Corte dei conti, attualmente le entrate derivanti dalle concessioni del demanio marittimo fruttano allo Stato appena 110 milioni di euro, a fronte di un volume di affari che viene stimato all’incirca in 15 miliardi. La sproporzione tra questi dati induce a chiedersi se chi è giunto “al governo della nazione per fare gli interessi degli italiani” non debba porsi un’elementare questione di giustizia distributiva. Incrementare il gettito, e assicurarne l’effettività, fornirebbe risorse finanziarie utili per lenire le difficoltà in cui versa la parte meno abbiente e più insicura della popolazione. Perché rinunciarvi?