E ora?
Tutte le sfide di Meloni & co dopo il giudizio di Moody's
Crescita, debito, attrattività. A prescindere dal giudizio dell'agenzia di rating, il governo deve stare attento al debito ed evitare l'assalto alla diligenza alla legge di Bilancio
“Moody’s? Vedremo, non ci si metta anche lei”: Giorgia Meloni un po’ scherza e un po’ fa gli scongiuri quando le chiedono che cosa si aspetta dall’ultima sentenza sul debito italiano. Non si può dire, in ogni caso, che né lei né Giancarlo Giorgetti abbiano dormito profondamente la notte prima dell’esame, come fece, invece, il principe di Condé prima della battaglia di Rocroi. La borsa di Milano non è sembrata preoccuparsi molto, l’indice oggi è cresciuto sia pur di poco, sono andate bene anche le banche, comprese quelle che hanno in pancia molti titoli di stato, fatta eccezione per il titolo delle Generali. Lo spread resta basso a 174 punti base. Gli gnomi della finanza, dunque, navigano nel mare della tranquillità, le ansie corrono solo tra palazzo Chigi e palazzo Sella? Mentre scriviamo non conosciamo la sentenza, emessa alla chiusura di Wall Street, cioè le 22 ore italiane.
Prevale tra i bookmaker l’impressione che anche l’agenzia di rating confermi il suo giudizio precedente in attesa di vedere come finirà la legge di bilancio. Ma il fatto è che Moody’s è stata fin dall’inizio la più severa. L’Italia si presenta alla prova con un outlook negativo e l’attuale valutazione Baa3 è appena sopra la soglia per investire, l’investment grade. Se scendesse, sarebbe al cosiddetto livello “junk”: spazzatura. Gli analisti di Unicredit, alla vigilia, hanno puntato sulla conferma. “I dati e le proiezioni storiche – scrive un loro rapporto ai clienti – appaiono coerenti quanto meno con una conferma del giudizio, anche alla luce della resilienza dimostrata dall’Italia ai recenti shock, come quello energetico”; a favore giocano anche “i recenti miglioramenti” nell’implementazione del Pnrr, le notizie positive sulla situazione politica, i miglioramenti degli indicatori della bilancia commerciale con l’estero e i progressi nella solidità del sistema bancario.
Le preoccupazioni principali vengono dalla spesa pubblica corrente che ha gonfiato il deficit. L’Osservatorio sui conti pubblici dell’Università Cattolica ha messo a confronto il progetto del governo per il 2024 – quando il bilancio non sarà più appesantito dai sostegni per Covid e bollette, nonché dai crediti edilizi riclassificati – con il consuntivo del 2019, l’ultimo anno prima della pandemia. Il risultato è un disavanzo del 4,3 per cento, cioè 2,8 punti percentuali di pil in più rispetto al 2019 quando era all’1,5 per cento. Oggi il prodotto lordo ha superato quello di quattro anni fa, ma il deficit è salito ancor di più soprattutto per colpa della spesa (+2,2 punti di pil). Incidono un po’ tutte le voci, gli interessi, i sussidi, le prestazioni sociali. A fronte di questa crescita c’è una riduzione delle entrate fiscali dovuta non all’andamento della congiuntura, ma perché si è alleggerito il peso sui redditi medio-bassi.
Anche le altre agenzie di rating si sono soffermate su questo manovra redistributiva, ma l’hanno giudicata sostenibile nonostante la frenata del pil, dato che l’Italia riuscirà ad evitare una recessione. Fitch in particolare ha apprezzato “una maggioranza parlamentare più stabile anche se si trova ad affrontare una notevole pressione politica affinché mantenga maggiormente i suoi impegni elettorali”. Il quadro più cupo l’ha dipinto uno studio della Barclays che ipotizza un rating sotto l’investment grade, con uno spread che balza a 250 punti; sono comunque lontani i 570 punti del novembre 2011. La banca britannica, descivendo una “maggioranza parlamentare più stabile di precedenti amministrazioni” anche se si trova ad affrontare “una notevole pressione politica affinché mantenga maggiormente i suoi impegni elettorali”, sostiene che, pure in caso di conferma, l’Italia non ha spazio di manovra il che la rende “vulnerabile agli shock e alle oscillazione nel sentimento degli investitori”.
Un avvertimento salutare perché il sollievo per un’eventuale promozione, sia pure per il rotto della cuffia, può innescare un assalto alla diligenza. La legge di Bilancio non è stata ancora approvata e il governo che ha bloccato gli emendamenti parlamentari continua ad autoemendarsi. E bisogna fare attenzione perché gli esami non finiscono mai: c’è sempre la Commissione europea in pressing su molti fronti dai balneari all’assegno unico, dal salario minimo fino al Mes e, soprattutto, alla riforma del Patto di stabilità.