l'anteprima
Golden power, ma non è tutto oro
Sempre più estesa, la facoltà d’intervento del governo nella vita delle imprese per tutelare i settori strategici dell’economia rischia di tradursi in un nuovo protezionismo e di avere effetti distorsivi sul mercato. Il caso Pirelli. Uno studio di Assonime
Golden power? Altro che dorato, sta diventando il bronzeo potere del neo statalismo introdotto per tutelare i settori strategici dell’economia, questa facoltà d’intervento del governo nella vita delle imprese è stata estesa a macchia d’olio, con il rischio che diventi un’arma protezionistica più insidiosa persino di dazi e tariffe. L’Italia non è sola, interpreta un malvagio spirito dei tempi che ha contagiato l’Unione europea e persino gli Stati Uniti. Ma Roma è andata molto avanti. L’Assonime, sotto la direzione di Stefano Firpo, ha studiato a fondo diversi casi esemplari, fra cui Pirelli e Tim, e sta per pubblicarne i risultati che il Foglio presenta in anteprima. Le conclusioni di carattere generale sono nette: “A fronte della necessità di strumenti di controllo degli investimenti esteri occorre ricordare che si tratta sempre di strumenti che hanno potenziali effetti distorsivi sul mercato e, se esercitati in modo eccessivamente discrezionale e protezionistico, rischiano di modificare in modo asistematico gli assetti di governance e di scoraggiare gli investimenti da parte di imprese e investitori stranieri”. In altre parole, il golden power può diventare il grimaldello per influenzare, quando non determinare, le scelte industriali e gli equilibri societari.
E’ stato un vero e proprio crescendo rossiniano: si è passati da otto interventi nel 2014 a 18 nel 2015, 14 nel 2016, 30 nel 2017, 46 nel 2018, 83 nel 2019, 42 (a fronte di 342 notifiche) nel 2020, 29 (a fronte di 496 notifiche) nel 2021, per un totale di 1.037 notifiche nell’arco di otto anni. Nel 2022 a fronte di 608 notifiche, i poteri speciali sono stati esercitati in 24 casi, 12 che riguardano i piani di fornitura di apparecchiature 5G, 10 con prescrizioni, un veto e tre opposizioni. La disciplina nel suo complesso, sempre secondo una recente circolare di Assonime, “appare adeguata e ponderata, tuttavia, per una valutazione compiuta occorre fare riferimento alla sua applicazione nei casi concreti, poiché l’esercizio dei poteri speciali rimane un’attività che presuppone un’ampia discrezionalità da parte dell’Amministrazione”. Il veto è certamente l’extrema ratio e finora non è stato usato spesso, ma anche prescrizioni e condizioni possono essere estremamente intrusive. Lo studio dell’Assonime elenca una lunga serie di direttive sulla governance, gli assetti organizzativi e i piani delle imprese, che riguardano principalmente società non quotate, ma in non pochi casi anche società quotate. “L’imposizione di condizioni è sottoposta a un’attività di monitoraggio – scrive – che comporta un controllo durevole da parte del potere pubblico sull’attività considerata strategica, controllo tanto più pervasivo se si considera che la presidenza del Consiglio può avvalersi dei poteri ispettivi e di indagine della Guardia di Finanza per vigilare sul rispetto delle prescrizioni”.
Già nel 2017 il governo ha usato il golden power sul presupposto del controllo di fatto di Vivendi su Tim, imponendo modifiche sia sulla governance sia sui profili operativi e gestionali. Sono stati previsti obblighi di fornire al ministero preventiva informazione su ogni operazione che potesse ridurre, anche temporaneamente, o cedere capacità tecnologiche, operative, industriali nelle attività strategiche, compresa la cessione di quote societarie. Insomma, una gabbia che, dopo tira e molla, ha portato il governo a intervenire direttamente: Tim vende la rete fissa a una società controllata dal fondo KKR e dal Tesoro. Tutto ciò nonostante Vivendi sia una impresa francese, quindi dell’Unione europea, non faccia capo a uno stato nemico che mette a repentaglio la sicurezza nazionale (anche se c’è chi pensa che la Francia lo sia), e sia controllata da Vincent Bolloré anch’egli cittadino francese.
Ma il caso più eclatante riguarda senza dubbio Pirelli incapsulata in una serie di scatole cinesi. Il 15 giugno il Consiglio dei ministri ha esercitato i poteri speciali in occasione del rinnovo del patto parasociale della Pirelli spa società quotata alla Borsa di Milano contenuta nella scatola Marco Polo International Italy che ne possiede il 37 per cento mentre il 14 per cento è della Camfin nella quale Marco Tronchetti Provera ha il 55 per cento dei diritti di voto, la cinese Longmarch holding il 20 per cento, Unicredit il 15,8 e Intesa l’8,5. Marco Polo a sua volta sta dentro la cinese CNRC la quale appartiene a CC (China Chemical) e Sinochem, espressione del governo di Pechino, lo scatolone, il grande contenitore. Il rinnovo del patto prevedeva un ruolo più incisivo dei cinesi. Tronchetti Provera sarebbe rimasto vicepresidente, ma non avrebbe più espresso l’amministratore delegato che di fatto sarebbe stato nominato dal socio cinese. Quando il vecchio patto era stato varato, nel 2019, la Pirelli non era soggetta al golden power e nel frattempo le scatole cinesi si sono rimescolate: Sinochem si è fusa con la CC che è stata assoggettata al governo così come la controllata CNRC. Esiste dunque il rischio politico che la società italiana cada nelle mani dei mandarini di Xi Jinping. E c’è un rischio tecnologico perché la Pirelli possiede i sensori Cyber impiantabili sugli pneumatici e sono in grado di raccogliere dati su assetti vari, geolocalizzazione e infrastrutture; una tecnologia ritenuta di rilevanza strategica nazionale nell’automazione industriale, nella manifattura avanzata, l’intelligenza artificiale e via di questo passo.
Il governo di Roma ha riservato al socio italiano un ruolo centrale richiedendo modifiche dello statuto e l’adozione di assetti organizzativi per tutelare gli attivi di rilevanza strategica. L’amministratore delegato dovrà essere indicato da Camfin che avrà quattro consiglieri e il potere di nomina e revoca di direttori, compreso il direttore generale e dei vice. Il ministero per le Imprese e il Made in Italy eserciterà il controllo e la Pirelli dovrà inviare entro 30 giorni dall’approvazione del bilancio una relazione redatta dal collegio sindacale su qualsiasi misura societaria o aziendale rilevante. Il 3 agosto il nuovo cda ha confermato Tronchetti Provera vicedirettore esecutivo, con pieni poteri, e Andrea Casalucci, manager interno alla Pirelli, amministratore delegato. Il presidente Jiao Jian sarà il rappresentante legale della società.
Il golden power può diventare il grimaldello per influenzare, quando non determinare, le scelte industriali e gli equilibri societari. Nel 2022 a fronte di 608 notifiche, i poteri speciali sono stati esercitati in 24 casi
Abbiamo riassunto fatti già noti per ricostruire tutti i passaggi. L’analisi dell’Assonime sottolinea che “il governo italiano segue un approccio casistico” nell’applicare il golden power e ricorda che la Cina non fa parte del sistema di alleanze internazionali del nostro paese e la CNRC è “espressione diretta di una autorità di governo”. In Germania per il porto di Amburgo, nel Regno Unito per la centrale nucleare di Hinkley Point e la società di semiconduttori Newport Faber, i governi hanno limitato o bloccato l’espansione cinese. Dunque l’Italia si muove all’interno di quella tendenza più vasta chiamata homeland economics, versione elegante del vecchio nazionalismo economico che tanti guai ha provocato in passato e altrettanti ne provocherà nel prossimo futuro come ha scritto l’Economist. “I liberi mercati sono ormai storia?”, è il titolo dell’inchiesta di copertina. Il nazionalismo economico è “un corpo contundente in un tempo di rapido cambiamento. La transizione energetica e l’intelligenza artificiale sono troppo grandi perché un governo possa pianificarle”. E aggiunge: “Una eccessiva regolamentazione inibisce l’innovazione”.
Nel caso italiano, “l’approccio del governo appare più stringente” scrive l’Assonime quando le operazioni non coinvolgono operatori di mercato, rispetto ai quali l’imposizione di rimedi appare infatti residuale, ma “coinvolgono operatori SOE (State Owned Enterprises), specie quando il governo estero di controllo non abbia stretti legami anche di alleanza con l’Italia e non assicuri effettiva autonomia al veicolo che eventualmente detenga la partecipazione nell’impresa titolare di attivi strategici”.
Alla Pirelli il socio cinese ha fatto buon viso a cattivo gioco, ma fino a quando? E se decidesse di vendere chi potrebbe comprare, il governo? Ci sono “capitali coraggiosi” pronti a intervenire magari grazie a vantaggiosi incentivi statali?
Lo studio dell’Assonime sottolinea in linea generale “l’esigenza di maneggiare con cautela l’istituto del golden power e di garantire il più possibile certezza agli operatori e al mercato prevedendo chiari ambiti di applicazione e prevedibilità delle prescrizioni e condizioni che possono essere imposte a tutela degli interessi strategici”. Per le società quotate il rischio è di alterarne il valore e ridurre la possibilità di accedere al mercato dei capitali. Non esistono pasti gratis, c’è sempre un costo da pagare e bisogna rendersene conto. Alla Pirelli il socio cinese ha fatto buon viso a cattivo gioco, ma fino a quando? E se decidesse di vendere chi potrebbe comprare, il governo? Ci sono “capitali coraggiosi” pronti a intervenire magari grazie a vantaggiosi incentivi statali? Ma attenzione, rilevanti presenze cinesi sono anche dentro l’industria di stato: la State Grid possiede il 35 per cento di Cdp Reti che a sua volta ha un terzo di Terna e Snam. Pechino si dice disposto a rinnovare, la Cassa vuole rafforzare la sua posizione. Quel pacchetto valeva due miliardi e cento milioni di euro nel 2014 ai tempi dell’accordo. Adesso? Secondo la homeland economics bisognerebbe indurre i cinesi a vendere. Il Tesoro ha due o più miliardi da regalare a Xi Jinping?