Schadenfreude tafazzista
La decisione della Corte tedesca sui fondi per il clima (e i guai per noi)
I giudici hanno vietato di spostare i fondi previsti per la lotta alla pandemia alla trasformazione tecnologica e ambientale con un certo compiacimento dell'Italia. Ma le ripercussioni della decisione rischiano di essere negative per tutta l'Europa
La decisione della Corte costituzionale federale tedesca, che ha vietato di dirottare alla trasformazione tecnologica e ambientale fondi in origine destinati alla lotta contro la pandemia, non solo scava un buco potenziale di 60 miliardi nelle ambizioni tedesche di riconversione, ma minaccia l’intera consolidata prassi dei governi tedeschi di creare fondi fuori bilancio a cui attingere, mediante successiva emissione di debito.
La vicenda ha suscitato compiacimento in Italia, dove c’è sempre chi è pronto a puntare il dito contro presunti “falsi in bilancio” e ipocrisie tedesche. Le ripercussioni rischiano di essere negative per tutto il continente, però. Come finanziare il fabbisogno determinato dalla sentenza di Karlsruhe? Con aumenti di imposte e tagli di spesa, vien fatto di dire. Ma le cifre in gioco sono rilevanti e l’operazione non sarebbe indolore, anche al netto delle resistenze a tagli di spesa e aumento di entrate. Il ridimensionamento dei programmi non depone favorevolmente per un’industria che sta soffrendo un mutamento e una mutazione epocali, e la cui crisi strutturale travolgerebbe anche le sue catene del valore europee, entro le quali si collocano aziende italiane.
D’altro canto, spesso da questi fondi fuori bilancio si sono materializzate le risorse per aiuti di stato, per sfruttare il periodo di “liberi tutti” nei vincoli europei. Tali aiuti di stato sono un evidente vulnus al mercato unico europeo e a quei paesi che non dispongono di tasche fiscali abbastanza capienti per fare lo stesso o qualcosa di simile.
Sinora i tedeschi hanno potuto far emergere debito aggiuntivo da questo canale contingente in modo quasi indolore grazie alla crescita che eccede il costo medio del debito, l’ormai famoso effetto “palla di neve”. Le cose stanno cambiando anche da quelle parti, e tra non molto potremmo leggere di “sindromi italiane” dove il debito cresce spontaneamente perché la non crescita viene sorpassata dal costo del debito.
Tutti problemi aggiuntivi per la posizione negoziale tedesca sulla riforma del patto di stabilità in Ue. Perseguire il taglio del deficit a ogni costo, anche a quello di sacrificare una riconversione tecnologica su cui si è già in ritardo e che sta costando competitività al continente ogni mese che passa, oppure cambiare spartito e ideologia e ridare fiato anche a quei paesi che chiamano “investimento” anche la spesa corrente per improbabili bonus? Per il momento, la Germania pianta i freni a Bruxelles, mandando a dire alla Commissione guidata dalla tedesca Ursula von der Leyen che l’integrazione da 100 miliardi al bilancio pluriennale dell’area non s’ha da fare, o meglio si può fare solo per la metà che riguarda gli aiuti all’Ucraina.
La sensazione è che siamo in un gioco a somma negativa, di quelli che gli anglosassoni battezzano col motto “dannato se lo fai, dannato se non lo fai”. Comunque vada, saranno guai. Soprattutto per il paese che denuncia con una Schadenfreude palesemente tafazziana i “falsi in bilancio” di chi voleva finanziare investimenti veri e non piuttosto la ristrutturazione di ville e appartamenti a spese dei contribuenti. Ma sono dettagli, e il concetto di investimento, come noto, alle nostre latitudini viene impreziosito da numerose licenze poetiche.