Il network
L'Africa ha bisogno di energia. Il dialogo promosso da Eni e Luiss per la transizione energetica
Istituzioni, università e centri di ricerca si sono riuniti a Roma per fare rete e confrontarsi sulle opportunità di sviluppo del continente africano: al centro c'è l'accesso all'energia prodotta da fonti sostenibili. Un ruolo di primo piano spetta ai giovani
Come valorizzare la transizione energetica in Africa, un continente dove oggi oltre 600 milioni di persone non hanno accesso all’elettricità? È per rispondere a questa domanda che Eni, in collaborazione con l’Università Luiss, ha lanciato l’International Network on African Energy Transition (Inaet), un polo di cooperazione che ha riunito per due giorni a Roma rappresentanti di istituzioni, università e centri di ricerca provenienti da tutto il mondo: dal Fondo monetario internazionale al ministero degli Esteri italiano, dalla Fao al Consiglio Atlantico, assieme a numerosi enti africani. L’obiettivo dell’iniziativa è rafforzare la collaborazione fra gli attori in gioco, creando così una rete unica capace di far leva sull’enorme potenzialità economica del continente. Non soltanto per trovare misure di mitigazione e di adattamento al cambiamento climatico, avviando quindi nuovi percorsi di sviluppo, ma anche per interrogarsi sul ruolo delle giovani generazioni e sulla capacità di attrarre investimenti dal settore privato.
Eppure, quando si parla di progetti per l’Africa, “c’è un rischio di percezione squilibrata reciproca”, ha spiegato Lapo Pistelli, direttore Public Affairs di Eni, nel corso dell’evento romano. “Gli europei parlano dell’Africa pensando alla sicurezza energetica, mentre gli africani lamentano che non sono parte della equazione delle emissioni ma ne patiscono le conseguenze”. Da qui nasce allora l’esigenza di un dialogo attivo e corale, come quello avviato da Eni, per “far crescere il livello di consapevolezza”, ha aggiunto Pistelli. E sempre da qui nasce anche la necessità di ripensare i termini con cui interfacciarsi al continente africano: “Fino a poco tempo fa ci si chiedeva cosa facevamo noi per l’Africa, adesso bisogna capire cosa l’Africa può fare per noi”, ha sintetizzato Andrea Precipe, rettore dell’Università Luiss, a margine della conferenza.
D’altronde non è certo la prima volta che il cane a sei zampe guarda al continente africano come possibile terra di opportunità e sviluppo. Eni è presente in Africa dagli anni Cinquanta e attualmente opera in quattordici paesi del continente, impegnata, fra le altre cose, nella fornitura di fornelli ad alta efficienza energetica e nell’integrazione del continente all’interno della catena dei biocarburanti. “La priorità in Costa d’Avorio e in Africa è innanzitutto l’accesso all’elettricità”, ha ribadito durante il suo intervento Mohamed Koita Sako, direttore dell’istituto Félix Houphouët-Boigny. Un punto poi condiviso anche da Maria Helena Semedo, vicedirettrice della Fao: “Avere energia sostenibile nel continente africano dove 600 milioni di persone non hanno accesso all’elettricità è un elemento chiave per lo sviluppo”. Le due sfide dunque – garantire l’accesso all’energia e farlo in modo sostenibile – vanno a braccetto: “Bisogna incoraggiare l’efficienza energetica”, cioè “promuovere prima di tutto la gestione dell’energia”, ha concluso Sako.
Parte degli interventi è stata infine dedicata, come detto, alle prospettive delle nuove generazioni, anche e soprattutto in relazione alla transizione energetica. Da questo punto di vista, l’Università Luiss offre già borse di studio agli studenti provenienti da una decina di paesi africani, nell’ambito del progetto Africa Subsahariana promosso e finanziato da Eni. A ciò si aggiunge la creazione di centri di ricerca e, in generale, di programmi educativi incentrati sulla formazione professionale, perché – come ricorda sempre Sako – “c’è un problema di manodopera qualificata”. In fondo, ha concluso Precipe della Luiss, “le vere energie rinnovabili sono quelle mentali e intellettuali”.